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Lucia Annunziata, i curdi e l’ingratitudine di tutti noi

di neXtQuotidiano

Pubblicato il 2019-10-14

Dopo le lacrime per l’omicidio di Havrin Khalaf la direttrice dell’Huffington Post su Repubblica spiega in un editoriale che quello che succede sulla pelle dei curdi nel nord della Siria è lo scambio osceno tra due miserie

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Ieri Lucia Annunziata si è commossa fino alle lacrime a Mezz’ora in più per l’omicidio di Hevrin Khalaf, attivista per i diritti delle donne in Siria. Oggi la direttrice dell’Huffington Post su Repubblica spiega in un editoriale che quello che succede sulla pelle dei curdi nel nord della Siria è lo scambio osceno tra due miserie:

Gli ultimi della terra muoiono senza lacrime versate per loro, e senza telecamere a documentarne la fine. Negati i loro diritti a essere protagonisti della comunità degli uomini fino alla fine. L’annullamento di questa identità è l’ennesima forma che prende il massacro nei tempi moderni — annegare non (solo) nel sangue le minoranze, ma negarne tutto fino alle radici, il suolo dove si è nati, le case, le abitudini, la lingua, la religione, per cancellare ogni pietra, fino alla negazione della memoria, l’ultimo pugno di sale romano. Perciò i loro eroi, specialmente se questi eroi sono donne, devono essere assassinate ai bordi di una strada. Perciò i giornalisti che sono testimoni della loro storia devono essere eliminati.

Il passato deve morire, perché al suo posto venga portato un altro popolo, esso stesso scelto fra gli ultimi della terra, gente ancora più sradicata, che varca gli spazi degli inquilini precedenti, stordita, provvisoria, depositata dove capita dalle onde finali di un’altra drammatica storia. È quello che succede in queste ore nel Nord della Siria, sulla pelle dei Curdi. E non fatevi distrarre dal rumore delle bombe, il rombo dei cingolati, il variare di interessi geopolitici e alleanze, alla fine — al cuore degli eventi, c’è solo lo scambio osceno fra due miserie, due sopravvivenze: il baratto fra 3 milioni di rifugiati siriani, e qualche centinaia di migliaia di curdi. I primi arma di ricatto, i secondi granelli di sabbia nell’ingranaggio più grande del potere globale, entrambi sacrificabili a uno schioccar di dita, o l’arrivo di un tweet.

Certo, domani la Turchia si sentirà più sicura perché avrà frantumato il sogno di un potenziale stato Curdo, oggi fatto di spezzoni sparsi fra quattro nazioni, Siria, Iraq, Turchia e Iran. Un sogno diventato più forte per la generosa lotta fatta da questo popolo in nome e per conto nostro, Europa e Stati Uniti, contro l’Isis. Un sogno che ancora una volta si è spezzato davanti alla indifferenza degli alleati, la ingratitudine di tutti noi. Tutti noi che siamo oggi come al solito intrappolati in una vana gara di parole sul che fare. Una disputa diplomatica e di comunicati che si srotola al di sopra della vita di tutte queste persone per le quali ogni minuto vale per vivere o morire. E forse mai in tale solitudine, sotto l’occhio fermo di una opinione pubblica mondiale. Una lacrima che scenda da quell’occhio fermo è l’unico vero omaggio che possiamo loro fare.

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