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Lo spacchettamento del referendum costituzionale

di neXtQuotidiano

Pubblicato il 2016-07-11

PD, M5S, Forza Italia e Lega Nord non lo vogliono. Eppure si continua a parlare della possibilità di dividere il referendum costituzionale in più quesiti. Per farlo serve la firma di un quinto dei deputati e di un quinto dei senatori. E l’idea sembra piacere ad alcuni. Vogliamo vedere perché?

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Matteo Renzi ha detto no. Il MoVimento 5 Stelle ha detto no. La Lega Nord ha detto no. Eppure l’argomento del giorno oggi nella politica italiana è lo spacchettamento del referendum costituzionale. Cos’è lo spacchettamento? Lo spacchettamento è l’idea di sottoporre all’elettorato invece che un unico quesito riguardo le riforme approvate in parlamento dalla maggioranza che sostiene il governo, tra i tre e i cinque quesiti. L’opzione serve a dare la possibilità a chi vota di dare un parere su grandi temi presenti nella riforma dei 41 articoli della Costituzione su 139 avendo la possibilità di dare un parere positivo su alcuni e negativo su altri.

Lo spacchettamento del referendum costituzionale

I sostenitori dello spacchettamento ritengono che sottoponendo agli elettori più quesiti, costoro avrebbero più facilità a esprimersi nel merito di ciascuno e non per simpatia o antipatia nei confronti di Renzi. Ci vorrebbero, spiega Riccardo Nencini che insieme ai radicali ha proposto lo spacchettamento, “almeno cinque quesiti. Poi ci pensino i costituzionalisti e i giuristi a fissare i giusti principi costituzionali. Ma sbrighiamoci a farlo. A riscriverli. Il termine per poterlo fare scade il 15 luglio“. Alla domanda se si faccia ancora in tempo, Nencini replica: “Certo non a raccogliere 500 mila firme, in quattro giorni. Però per chiedere lo spacchettamento bastano anche un quinto dei senatori e un quinto dei deputati, ovvero meno di duecento parlamentari“. Ecco quindi che è partita la gara a trovare un quinto dei senatori e un quinto dei deputati per portare a casa lo spacchettamento del referendum costituzionale. “Mi riconosco nel testo a sostegno del Si pubblicato qualche giorno fa sul Corriere della Sera dagli ex Presidenti del Senato e della Camera Marcello Pera e Pierferdinando Casini. Comunque proprio per favorire il più pieno sviluppo del dibattito e una reale spersonalizzazione del confronto sulla riforma costituzionale nella giornata di oggi firmerò il testo presentato degli amici Radicali per uno spacchettamento del referendum cioè per un ulteriore approfondimento della materia”, ha detto ad esempio Fabrizio Cicchitto. Anche Benedetto Della Vedova ha invitato a votare per lo spacchettamento: Anche per assenza di precedenti, ritengo però giusto consentire di sottoporre alla Corte di Cassazione l’ipotesi dei quesiti plurimi sui differenti aspetti della riforma, e lasciare ai giudici preposti, o, nel caso fosse coinvolta, alla Consulta di pronunciarsi sull’ammissibilità della procedura”. Tutte ragioni valide. Ma in effetti ne mancano almeno un paio.

Il sondaggio di Demos sul referendum costituzionale

E quale effetto politico avrebbe lo spacchettamento?

Come detto, per presentare il referendum con formulazione multipla bisogna raccogliere entro il 15 luglio le firme di 126 deputati (un quinto della Camera) e di un quinto dei componenti di Palazzo Madama (ovvero 64 senatori). La Cassazione deciderà entro agosto se ammettere o meno i nuovi quesiti. Se i richiedenti non fossero soddisfatti della sentenza del Palazzaccio si potrebbero appellare alla Corte Costituzionale. Che dovrebbe quindi a sua volta esprimersi. A settembre, a ottobre, a novembre? L’unico risultato certo è che il referendum slitterebbe e la legislatura guadagnerebbe tempo. Poi c’è un altro punto. Manca infatti di comprendere quale tipo di effetto politico avrebbe lo spacchettamento. Oggi, con un unico quesito, il presidente del Consiglio Matteo Renzi ha spiegato che in caso di vittoria al referendum il suo governo continuerà, in caso di sconfitta lui si dimetterà e conseguentemente il governo cadrà. In caso invece di referendum con quesiti plurimi, magari quattro, cosa succederà? Poniamo il caso ad esempio che la partita venga pareggiata alle urne: due quesiti vengono approvati e due vengono bocciati. A quel punto il governo non sarà considerato sconfitto alle urne: ha pareggiato. Se finisce tre a uno o uno a tre, si potrebbe discutere del risultato come alla Domenica Sportiva. Se poi i quesiti fossero cinque, il governo potrebbe “vincere” tre a due o perdere con lo stesso risultato. Insomma, in un modo o nell’altro potrebbe essere difficile dire che il governo ha vinto o ha perso. E quindi questo darebbe una chance per una fine procrastinata della legislatura. Ecco perché tanti deputati e senatori con la rielezione in bilico o con scarse possibilità di essere ricandidati ed essere eletti potrebbero pensare che non sarebbe poi così male questo spacchettamento. Ci vorrà molto autocontrollo per resistere a una tentazione del genere…
 

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