Attenzione ai like sui social: i casi in cui possono configurare un reato | VIDEO

di Edno Gargano

Pubblicato il 2022-04-28

Con una sentenza storica la Corte di Cassazione ha stabilito che anche mettere un like su post che incitano all’odio può configurare un reato. In quali casi e a quali condizioni? La parola all’esperto

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Di recente, la Corte di Cassazione è intervenuta con sentenza n. 4534 del 2022, al fine di chiarire i casi in cui i famosi “like” delle piattaforme social possono configurare delle ipotesi di reato.
È ormai noto a tutti che, a partire dal 2018, il legislatore ha inserito all’interno del Codice Penale alcune specifiche fattispecie di reato, destinate a punire i comportamenti di chi “propagandi idee fondate sulla superiorità o sull’odio razziale o etnico, ovvero istighi a commettere o commette atti di discriminazione per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi” e “istighi a commettere o commetta violenza o atti di provocazione alla violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi”.

Naturale concludere come tale reato incrimina i soggetti che, attraverso un’azione ipoteticamente diretta verso un pubblico indefinito, diffondono idee fondate sulla discriminazione razziale. Viene prevista un aggravante nel caso in cui tale forma di diffusione istighi qualcuno a commettere reati di violenza per gli stessi motivi. La ratio dell’introduzione di tali reati è presto detta: in una società che punta verso di più verso la globalizzazione e l’inclusione delle persone, anche provenienti da contesti culturali diversi, non viene lasciato spazio a condotte che costituiscono pericolo per tale processo democratico.

Attenzione ai like sulle piattaforme social: i casi in cui possono configurare un reato

I giudici di merito sono interventi più volte per chiarire che tali reati possono benissimo ritenersi integrati anche nel caso in cui tali comportamenti siano posti in essere sulle piattaforme social, sulle quali la realtà è distorta e l’adesione psicologica del soggetto attivo del reato non trova freni inibitori a causa della distanza tra colui che digita e colui che risponde. Ma, di recente, tali condotte sono moltiplicate a dismisura, andando di pari passo con l’evoluzione delle piattaforme di scambio in rete di messaggi istantanei.

La storica sentenza della Cassazione

Pertanto, la Corte di Cassazione è intervenuta con una storica sentenza, che anticipa la soglia di punibilità, confermando la natura di reato di pericolo della condotta descritta: l’incriminazione è possibile anche se non si realizza una lesione concreta del bene giuridico protetto dalla norma. Infatti, essa ha stabilito che, in virtù delle peculiari dinamiche che si creano in rete, assumono rilevanza indiziante anche ai cd. “like” associati, come forme di gradimento virtuale, a post antisemiti pubblicati sui social network, sull’assunto che “la diffusione dei messaggi inseriti nelle bacheche di Facebook, già potenzialmente idonei a raggiungere un numero indeterminato di persone”, favorisce la viralizzazione dei relativi contenuti da parte degli utenti, “i quali, a loro volta, hanno la possibilità di rilanciarne il contenuto”. Ha motivato questa decisione facendo riferimento al fatto che anche un semplice “like” può determinare la messa in moto del noto algoritmo di Facebook, in virtù del quale i commenti con più interazioni da parte degli utenti sono posizionati meglio nella Home dei noti social. Pertanto, mettere un “like” a post antisemiti può configurare un’ipotesi di reato, con relativo obbligo di corrispondere il risarcimento del danno prodotto.

Avv. Edno Gargano

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