Libano, le proteste contro l’austerity al ritmo di Bella Ciao

di neXtQuotidiano

Pubblicato il 2019-10-20

I manifestanti, che da giovedì sfilano in piazza, chiedono le dimissioni dell’intero governo del premier Saad Hariri. “Chiediamo che tutti ci raggiungano in piazza oggi, e anche domani, per costringere il governo alle dimissioni”

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Oggi in Libano è arrivato il quarto giorno consecutivo di proteste contro le politiche di austerity del governo, anche se ieri si sono dimessi quattro esponenti del governo, rappresentanti del partito di maggioranza delle Forze libanesi. I manifestanti, che da giovedì sfilano in piazza, chiedono le dimissioni dell’intero governo del premier Saad Hariri. “Chiediamo che tutti ci raggiungano in piazza oggi, e anche domani, per costringere il governo alle dimissioni”, spiegano gli attivisti.

Le proteste contro l’austerity in Libano al ritmo di Bella Ciao

Intanto il partito Forze Libanesi (cristiano maronita) ha ritirato i suoi quattro ministri. Lo ha reso noto Samir Geagea, che è il presidente esecutivo del partito. “Non abbiamo visto alcuna seria intenzione da parte del governo di affrontare la crisi. Le difficoltà che affronta il Paese sono senza precedenti. Siamo convinti che il governo non sia capace di prendere le misure necessarie per affrontare la situazione”. In questo video si vedono i manifestanti che cantano Bella Ciao:

Qui invece Bella Ciao viene cantata in italiano:

I manifestanti libanesi hanno elaborato un documento per chiedere “un governo di salvezza nazionale” ed “elezioni anticipate” per mettere fine alla crisi in corso nel Paese dei Cedri. Nei tre giorni precedenti centinaia di persone sono scese in piazza a Beirut e nel resto del Libano per contestare la decisione di imporre nuove tasse. I manifestanti hanno dichiarato di essere “uniti contro i politici corrotti”. A Beirut decine di dimostranti hanno già cominciato a riunirsi vicino alla sede del governo, dove ieri sera la polizia è intervenuta con gas lacrimogeni per disperdere la folla. Intanto alcune delle principali strade di comunicazione che arrivano a Beirut da nord e da sud sono bloccate a causa di copertoni dati alle fiamme. Manifestazioni di protesta sono già iniziate in alcune aree del Libano meridionale controllate dai movimenti sciiti Hezbollah e Amal. L’altroieri il primo ministro libanese, il sunnita Saad Hariri, ha imposto un ultimatum di 72 ore ai suoi partner di governo per trovare un’intesa sulle misure economiche da adottare.

Libano e la protesta su Whatsapp

La causa scatenante dell’inizio delle proteste è stata la proposta del governo, il 16 ottobre, di tassare le chiamate tramite app di messaggistica come Whatsapp. Manifestanti in tutto il Paese hanno bloccato strade e bruciato copertoni. Il centro di Beirut è diventato una zona di guerra: si sono registrati diversi feriti durante scontri tra manifestanti e le Forze di sicurezza interna (Fsi, le quali informano che 24 poliziotti sarebbero stati feriti), sia di fronte alla sede del governo a downtown che nei pressi del Palazzo presidenziale di Baabda, con uso di lacrimogeni e cariche. A Tripoli le guardie del corpo del parlamentare Misbah al Adhab hanno aperto il fuoco ferendo sette manifestanti. Decine di migliaia di persone hanno invaso praticamente tutte le principali città del Paese per chiedere le dimissioni dell’esecutivo, una reale lotta alla corruzione e la fine del clientelismo imperante, insito nel sistema confessionale libanese.

In Libano – che ha un debito pari al 130% del Pil – esistono sperequazioni economiche enormi, e lo Stato non riesce ad assicurare la corrente elettrica per 24 ore su 24: a Beirut ci sono black out giornalieri programmati dalle 3 alle 6 ore, fuori da Beirut si arriva anche a 12. Chi può, copre il “buco” con i generatori, che ovviamente vengono venduti da soggetti che hanno interesse al mantenimento dello status quo. Ci sono anche problemi di approvvigionamento idrico (un anno fa è arrivata un’altra nave cisterna turca ma non è sufficiente), oltre che quelli più visibili di tutti: la quantità preoccupante di spazzatura, dopo la chiusura di varie discariche per saturazione. Quasi metà della popolazione, inoltre, vive sotto la soglia di povertà relativa.

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