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Perché la legge sui vitalizi è inutile

di Giovanni Drogo

Pubblicato il 2017-07-27

Quanto vale rincorrere il populismo e le istanze anti-casta? In termini economici un risparmio di appena 80 milioni di euro all’anno. In termini elettorali vedere il PD che si affanna a inseguire il M5S non ha prezzo. Ma il problema è che al Senato…

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Ieri la Camera ha approvato la proposta di legge Richetti sul ricalcolo delle pensioni parlamentari. Nonostante la propaganda di questi mesi non si tratta dell’abolizione dei vitalizi, per il semplice motivo che il vitalizio inteso come rendita parzialmente alimentata da un prelievo sull’indennità del periodo di esercizio della carica che veniva erogata sotto una certa soglia di età è stato abolito nella riforma del 2012. Attualmente i parlamentari che andranno in pensione percepiranno l’assegno solo dopo avere svolto il mandato parlamentare per almeno 4 anni e mezzo e una volta compiuti 65 anni di età. La riforma introduceva inoltre il sistema contributivo per i parlamentari eletti a partire dal 1 gennaio 2012.

Quanto ci perdono i parlamentari di lungo corso?

La proposta di legge approvata ieri a larghissima maggioranza (348 sì, 17 no e 28 astenuti) fa un ulteriore passo avanti. Perché introduce il ricalcolo dei trattamenti pensionistici anche per gli ex parlamentari (e gli ex componenti dei consigli regionali) che non sono più in carica. La legge in vigore oggi si applica infatti solo ai nuovi eletti ma non va a toccare la rendita di chi è stato eletto alla Camera o al Senato durante le legislature antecedenti al 2012. La norma ha quindi valore retroattivo e sarà compito degli uffici della Camera e del Senato fare il conteggio di quanto gli ex parlamentari percepiranno di pensione. Spetterà invece alle Regioni stabilire l’ammontare del taglio delle rendite (che di fatto vengono abolite) degli ex consiglieri regionali.

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Fonte: La Repubblica del 27/07/2017


Le stime parlano di una riduzione dell’assegno mensile che va dal 20 al 40%. Ad esempio parlamentari di lungo corso che non siedono più sui banchi della Camera o del Senato come Massimo D’Alema (entrato il Parlamento la prima volta nel 1987) ed Emma Bonino (eletta la prima volta nel 1976) vedranno il “vitalizio” ridotto di oltre duemila euro al mese. Su Repubblica e sul Corriere della Sera un “grande vecchio” come l’ex DC Publio Fiori (in Parlamento per quasi trent’anni dal 1979 al 2006) spiega che dal suo attuale vitalizio di 10 mila euro (anche in virtù della legge a sostegno delle vittime del terrorismo) con la legge potrebbe passare a circa 4 mila euro al mese. Più che dimezzato insomma.
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Fonte: La Repubblica del 27/07/2017


Ma quanto ci guadagna lo Stato da questa riforma? Quanto risparmiano i cittadini? In un’audizione alla Camera del maggio 2016 il Presidente dell’Inps Tito Boeri aveva detto che con la legge Richetti e l’applicazione retroattiva a tutti gli ex parlamentari del sistema contributivo attualmente in vigore ci sarebbe stato un risparmio di 79 milioni di euro per il 2016 e di 83,2 milioni per il 2017, pari a circa il 40% della spesa che è intorno ai duecento milioni di euro l’anno. Valeva la pena bloccare il Parlamento per una legge del genere il cui unico obbiettivo è quello di risparmiare qualche milione di euro? Probabilmente no.

La questione dell’incostituzionalità della legge

Il risparmio quindi c’è, ma il peso sul bilancio statale è davvero minimo. Ma questo si sapeva. E del resto la spesa per il mantenimento del nostro sistema parlamentare è poca cosa in confronto all’ammontare della spesa pubblica. Da qualche parte si deve pur tagliare, si dirà. E senza dubbio per una volta partire dagli stipendi della casta è una mossa che sarà gradita a molti elettori. Ma non bisogna perdere di vista il quadro generale, ovvero il bilancio dello Stato (senza dimenticare il debito pubblico). Se dividiamo questo risparmio per il numero dei cittadini italiani (circa 60 milioni) si tratta davvero di poca cosa: poco più di un euro a testa “guadagnato”. Ed è tutto da vedere cosa si farà con quei risparmi.
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È poi da vedere se è un bene che la politica si faccia dettare la linea dal populismo e ne abbracci le istanze. Argomenti come quello dei vitalizi dei parlamentari hanno facile presa sull’elettorato, ma cosa risolvono all’atto pratico? Ben poco guardando le cifre. C’è poi chi solleva la questione dell’incostituzionalità della legge. Lo ha fatto in Aula Renato Brunetta, annunciando il voto contrario di Forza Italia. Per Brunetta si viene a creare un pericoloso precedente in base al quale in futuro potrebbero essere messe in discussione le pensioni di venti milioni di italiani. Come spiegava ieri su Repubblica l’ex Presidente della Corte Costituzionale Valerio Onida i vitalizi non sono pensioni. Inoltre non è vero che i diritti acquisiti sono intoccabili. Vi è una costante giurisprudenza della Consulta, prosegue Onida, che consente alla legge di intervenire sui diritti acquisiti.

Gli interventi sui diritti già acquisiti sono possibili purché ragionevoli e non tali da violare l’affidamento legittimo del cittadino sorto in base alla legge preesistente e, nel nostro caso, il diritto fondamentale dei lavoratori a fruire di mezzi di sussistenza durante la vecchiaia, come prevede l’articolo 38 della Costituzione.

Dello stesso parere anche il giurista giurista Gianluigi Pellegrino che a RaiNews ha spiegato che anche l’uso del termine “retroattività” è improprio:

Quando, in questo caso, si parla retroattività si usa un termine improprio. Retroattiva sarebbe una norma che azzeri la pensione già percepita o dica: ti abbiamo dato 5mila euro, ma abbiamo deciso di ricalcolare l’assegno con altri parametri e te ne spettavano 4mila, quindi ce ne devi mille. Ma dire che, da un certo momento in poi a seguito dell’approvazione di una nuova legge, la pensione sarà calcolata con metodo diverso, quello contributivo, e che questo abbasserà i trattamenti in corso, non quelli già erogati, non implica retroattività, perché si va a incidere sì su pensioni che si è già cominciato a percepire, ma la quota corrisposta in passato non viene intaccata.

Dal momento che la legge interviene in mono ragionevole e non azzera le pensioni di chi già la percepisce – né chiede di restituire i soldi – il provvedimento non dovrebbe avere profili di incostituzionalità.

Il vero problema della legge: il Senato

Ieri i 5 Stelle cantavano vittoria come se la legge fosse già entrata in vigore. Ma è una vittoria a metà perché c’è chi dubita che a settembre la legge possa essere approvata dal Senato. I numeri al Senato sono diversi e anche con il soccorso di MoVimento 5 Stelle, Lega e Fdi il margine è esiguo, se si sfilano i centristi e magari anche Mdp, che alla Camera ha scelto l’astensione. I voti di PD (99), M5S (35) e Lega Nord (12), sommati, fanno 146 senatori, 15 in meno di quelli necessari per assicurarsi la maggioranza.
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Il gruppo dei 14 senatori di ALA ha già annunciato batttaglia. I 25 senatori di Alternativa Popolare di Alfano (che alla Camera ha votato contro la legge) potrebbero risultare decisivi ma al momento non hanno alcuna intenzione di scoprirsi. Anche Forza Italia potrebbe essere della partita. Alla Camera il gruppo guidato da Brunetta è uscito dall’Aula al momento del voto, con le eccezioni di Maria Stella Gelmini e Daniela Santanchè che hanno votato a favore. Ma al Senato la partita è un’altra: ieri alla Camera la maggioranza di Governo (PD, AP e MDP) si è sfaldata ma i danni sono stati contenuti. Se al Senato dovesse succedere la stessa cosa, visti i numeri della maggioranza a Palazzo Madama lo strappo non sarebbe così indolore.

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