La forza delle tradizioni

di Vincenzo Vespri

Pubblicato il 2019-08-14

L’altro giorno mi è venuta a trovare una cara amica di religione ebraica. La cosa che mi ha colpito è il grande numero di precetti a cui gli Ebrei si attengono. Oltre al riposo del sabato e il non poter mangiare carne di maiale, non possono mangiare molluschi e crostacei, non possono cucinare assieme carne …

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L’altro giorno mi è venuta a trovare una cara amica di religione ebraica. La cosa che mi ha colpito è il grande numero di precetti a cui gli Ebrei si attengono. Oltre al riposo del sabato e il non poter mangiare carne di maiale, non possono mangiare molluschi e crostacei, non possono cucinare assieme carne e latte, devono mangiare cibo kosher, etc etc. D’altra parte gli ebrei erano un popolo senza una patria. Per mantenere viva la loro identità avevano bisogno di avere riti e precetti comuni. Il Tempio non doveva solo essere un luogo di preghiera ma anche (e forse soprattutto) un luogo d’incontro della comunità. Questa è la loro forza.

I Cristiani e gli Italiani hanno invece seguito un percorso contrario. Sono stati abbattuti uno dopo l’altro tutti gli aspetti identitari. Ora è vero che ciascuno di esso non aveva in sé un grande significato, ma per usare un paragone di Toynbee , la religione (e io aggiungerei l’identità di un popolo) è come una cipolla. Ciascuna pellicina ha poco senso, ma se le togli tutte, la cipolla non c’è più. In Italia ci stiamo togliendo una dopo l’altra tutte le pellicine che formano la nostra identità d’Italiani e di Cristiani. Non ci deve essere il crocefisso in aula, non bisogna fare più il presepe, non bisogna augurarsi più Natale, Dante non deve essere più studiato (perché antisemita e antiislamico), etc etc. A livello locale, sembra che i nostri politici godano a cancellare negozi e tradizioni storici. A Firenze abbiamo avuto un sindaco che si augurava l’apertura di kebab in piazza del Duomo. Ma anche se non si è arrivati a tanto, le librerie storiche hanno chiuso, negozi storici hanno chiuso. Perfino i bar che hanno fatto, in un modo o nell’altro, la storia d’Italia o hanno chiuso o si sono rinnovati perdendo in gran parte il loro fascino. Come non ricordare il Giacosa (dove è stato concepito il Negroni) o le Giubbe Rosse (luogo d’incontro simbolo del futurismo)?

Se questi simboli della nostra storia, del nostro passato, della nostra cultura vanno persi e sostituiti con anonimi sushi bar, fast food, pub e kebab diventiamo più deboli come popolo, non diventiamo di certo più cosmopoliti. La nostra tradizione e la nostra cultura vanno difesi anche preservando dei semplici simboli. Mi ricordo una discussione fra mia madre e l’insegnante di religione. Mia madre diceva che aveva bisogno di riti, di statue, di candele d’accendere altrimenti non riusciva a pregare. E mia madre aveva ragione: si ha bisogno di simboli e riti. Infatti, la Religione e la Storia di un popolo, di un città sono fatti anche di luoghi e di usanze in comune. Se li cancelliamo, diventiamo permeabili e manipolabili ad altre storie e culture che non ci appartengono. Dobbiamo essere fieri del nostro passato e delle nostre tradizioni per confrontarci (costruttivamente) con gli altri. Altrimenti siamo passivi e perdenti nel cosmopolitismo ormai inarrestabile. Certo non dobbiamo esagerare a guardare solo a noi stessi, solo alla nostra storia… Se no si rischia il contrario. Di chiuderci a riccio e non capire gli altri . Sempre ritornando a parlare di Ebraismo, ho scoperto che c’è un forte movimento in Israele per la ricostruzione del Tempio (quello distrutto prima dai Babilonesi e poi da Tito). Leggendo i siti dedicati (e prendendo per buona la traduzione di Google) i fautori della ricostruzione mi sembrano preoccuparsi solo a definire i riti, i sacrifici e le purificazioni necessari alla costruzione e dedicazione del Tempio e non al piccolo particolare che per ricostruire il tempio occorrerebbe spianare la moschea di Al-Aqsa… con tanto di guerra santa che scaturirebbe da tale atto…

foto copertina via instagram

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