L’Italia verso la procedura sul debito

di neXtQuotidiano

Pubblicato il 2019-06-02

Il governo gialloverde ha creato un buco nei conti di 11 miliardi tra 2018 e 2019, il Pil è fermo mentre il debito è in costante crescita e le previsioni sul prossimo anno restituiscono un quadro sballato

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Mentre la politica italiana si balocca sulla talpa che ha dato ai giornali la bozza della lettera di Tria all’UE, Alberto D’Argenio su Repubblica spiega che la missiva non servirà a nulla, proprio come la presenza di Tria in via XX Settembre in questi mesi. Il governo gialloverde ha creato un buco nei conti di 11 miliardi tra 2018 e 2019, il Pil è fermo mentre il debito è in costante crescita e le previsioni sul prossimo anno restituiscono un quadro sballato, con il deficit al 3,5% e il debito ancora all’insù, oltre il 135% del reddito nazionale.

Ecco perché per evitare la procedura — vista come ultimo tentativo di tenere in carreggiata i conti italiani — la Commissione si aspettava l’annuncio di una correzione dei conti 2019 di almeno 3-4 miliardi e impegni ferrei sul 2020, ovvero l’indicazione delle misure per coprire non in deficit i 23 miliardi che frutterebbe l’aumento dell’Iva al quale si è (volontariamente) vincolato questo governo a dicembre per lanciare reddito e quota 100.

Tuttavia nella lettera alla Ue il Tesoro si limita a parlare di minori spese nel 2019 per le misure bandiera di Lega e M5S, senza però quantificarle. Lo fa solo a pagina 18 dell’allegato tecnico alla lettera (3,5 miliardi), ma in modo vago e non impegnativo. Stesso discorso per il 2020: gli impegni sono troppo astratti. Tanto più per un governo che in Europa è ormai percepito inaffidabile (non ha rispettato le solenni promesse sottoscritte da Conte a dicembre), narcotizzato dalla perenne crisi di maggioranza e incapace di prendere decisioni, come dimostrato dalla rissa di venerdì sulla lettera. Così, se non ci saranno ulteriori passi nel dialogo tra Roma e Bruxelles, mercoledì la Commissione concluderà il suo rapporto sull’Italia (articolo 126.3) scrivendo che il Paese nel 2018 (ultimo anno con i dati definitivi) non ha rispettato la regola del debito.

La procedura costringerà chiunque governerà l’Italia nei prossimi anni a centrare i target di risanamento indicati dalla Ue fino a quando il deficit non sarà azzerato in modo da permettere la discesa costante del debito.

Durerà almeno 5 anni, ma se Roma chiederà di spalmare i tagli in modo differente morderà anche per più tempo. Tuttavia il governo gialloverde ha una seconda e ultima chance per evitare al Paese di perdere parte della sua sovranità in politica economica. L’ultima parola sulla partenza della procedura spetta infatti ai ministri delle Finanze Ue (Ecofin), che si esprimeranno nella riunione del 9 luglio. In mezzo una serie di passaggi tecnici e politici.

Ad esempio, entro il 20 giugno e comunque in tempo utile per la riunione del 14 giugno dei ministri, si dovranno pronunciare gli sherpa dei governi (Efc), per dare ai politici materiale su cui dibattere nell’ultimo incontro che precede quello decisivo di luglio. Una decina di giorni. Insomma, il tempo stringe perché più passi saranno compiuti più difficile sarà fermare la macchina europea: il governo Salvini-Di Maio deve decidere in fretta se sedersi al tavolo (e cedere) come a dicembre o se ipotecare il futuro del Paese.

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