Come funziona il Mattarellum (e soprattutto chi fa vincere)

di neXtQuotidiano

Pubblicato il 2016-12-19

Renzi propone un sistema elettorale in cui può averla vinta la più forte tra tre debolezze politiche. Cosa può andare storto in questo piano diabolico? Molto, moltissimo. Vediamo tutti i problemi punto per punto

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Matteo Renzi propone di ripartire dal Mattarellum per tentare di avviare concretamente il dibattito sulla legge elettorale. Una proposta che incassa il sì di quasi tutto il PD, mentre dagli altri partiti giunge il sì di Lega e Fdi, e un “niet” da Forza Italia, con Renato Brunetta che chiude proprio all’idea del dialogo con “Renzi il baro“, e dei 5 stelle che guardano al voto subito con una legge che esca dal responso della Consulta. Anche Ncd fa sentire la sua contrarietà. Le posizioni dei partiti riflettono la convenienza nei confronti del meccanismo del sistema elettorale che ci ha portati al voto nel 1994, nel 1996 e nel 2001 e che ad esempio ha consentito che nel 1994 ci fossero due maggioranze diverse tra Camera e Senato. Il sistema che porta il nome dell’attuale Capo dello Stato prevedeva l’assegnazione del 75% dei seggi della Camera (475) in collegi uninominali a turno unico; il restante 25% (155 seggi) veniva assegnato su base proporzionale ai partiti che superavano il 25%. Per questa parte proporzionale alla Camera c’erano dei listini bloccati di quattro nomi su base regionale, mentre per il Senato si recuperavano i migliori perdenti dei collegi uninominali. Questo modello è stato utilizzato quando l’organizzazione era bipolare.

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Come funziona il Mattarellum (Il Messaggero, 19 dicembre 2016)

Con il Mattarellum i cittadini sceglievano quasi tutti i loro rappresentanti anche se va sottolineato che – in barba alla retorica sui “nominati” – esistevano (ed esistono) un certo numero di collegi “sicuri” dove venivano paracadutati candidati di sinistra o di destra da eleggere a prescindere. Una quota dei parlamentari, il 25% pari a circa 160 deputati, era determinata dal proporzionale e veniva assegnato sulla base di liste bloccate alla Camera e, su base regionale, ai senatori primi non eletti della quota maggioritaria. A complicare le cose c’era una soglia di sbarramento del 4% (alla Camera) e un complesso sistema di conteggio (noto come scorporo) che doveva favorire i partiti più piccoli ma che, all’italiana, fu subito aggirato presentando liste civetta.

Perché Renzi vuole il Mattarellum (e i 5 Stelle no)

Il ragionamento sotteso alla scelta del Mattarellum da parte del Partito Democratico è evidente e parte da quel 40% di voti preso al referendum: i due fronti che si sono opposti al governo e alla riforma costituzionale, ovvero il centrodestra e il MoVimento 5 Stelle, insieme hanno una maggioranza schiacciante rispetto alle forze riunite intorno al Partito Democratico. Ma se i fronti invece di due sono tre ecco che chi ha il 40% può facilmente vincere rispetto agli altri due poli con il 30% ciascuno (in via ipotetica, visto che ai 5 Stelle nei sondaggi vengono riconosciute percentuali più ampie rispetto al centrodestra riunito). C’è poi un altro punto nei calcoli di Renzi che lo spinge a proporre il Mattarellum. Ovvero il fatto che i 5 Stelle vengono riconosciuti come in crescita di popolarità grazie alle “capacità televisive” dei loro leader nazionali, ma nei collegi non si presenterà un leader riconosciuto per le tante partecipazioni televisive, bensì – al 90% – un personaggio con minore popolarità e minore radicamento nel territorio rispetto ai candidati del PD che avranno magari molte esperienze di governo nei territori in cui sono candidati. Questo potrebbe quindi portare al fatto che la popolarità del M5S sul piano nazionale non si rifletta sui territori, dove invece alla fine può magari spuntarla il candidato alternativo. Sempre per la questione della territorialità FdI e Lega apprezzano il Mattarellum: perché pensano di poter utilizzare candidati migliori anche rispetto a Forza Italia. Cosa può andare storto in questo piano diabolico? In realtà, molto.

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Mattarellum: come funziona e chi fa vincere (Corriere della Sera, 19 dicembre 2016)

Massimo Franco sul Corriere della Sera oggi riepiloga i contorni della proposta rivelandone la ratio elettoralistica: una legge pensata su misura per urne a breve termine e per il revanchismo del premier:

Produsse coalizioni che, non certo per colpa del Mattarellum, rivelarono presto le crepe a causa della loro eterogeneità. E questo in un’Italia in cui il bipolarismo era la forma che il sistema politico aveva assunto dopo la fine della Guerra fredda e della Prima Repubblica; e in cui i partiti, per quanto in continua mutazione, esistevano. Risuscitare artificiosamente il bipolarismo in una fase di frantumazione delle forze politiche, e con un Parlamento spaccato in almeno tre tronconi, avrebbe poco senso. L’impressione è che dovrebbe servire a dimostrare che il Pd è e rimane il partito-perno di una fantomatica coalizione in fieri; e che Renzi, dopo le primarie, sarebbe il candidato «naturale» a Palazzo Chigi. Tuttavia, lo schema non convince.
Intanto, se davvero si vuole approvare una riforma elettorale con le opposizioni, il Mattarellum non è la soluzione. Silvio Berlusconi, indicato come uno degli interlocutori obbligati, è per il sistema proporzionale. Ma, al di là delle preferenze del capo di FI, la sensazione è che nello stesso Pd e nella maggioranza la proposta sia vista con scetticismo. Di nuovo, serpeggia il sospetto di una legge pensata su misura per elezioni a breve termine e per la rivincita di un vertice dem umiliato dal referendum del 4 dicembre. Dunque, non l’inizio di una nuova stagione, ma l’ultimo colpo di coda per fare sopravvivere quella appena archiviata. D’altronde, avere bollato il responso referendario come una regressione verso la Prima Repubblica conferma la difficoltà a analizzare con freddezza quanto è accaduto.

In secondo luogo Renzi, che ieri ha ribadito di aver perso il referendum “nel mezzogiorno“, non sembra aver chiare quali siano le vere condizioni di partenza. Ovvero queste:

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Le regioni in cui ha vinto il no e le regioni in cui ha vinto il sì al referendum costituzionale

Il rischio più concreto è che la coalizione renziana che avrà come perno il Partito Democratico non sfiori nemmeno in molte zone il 40% che, secondo le previsioni del premier, basterebbe a far vincere il collegio con il Mattarellum. E che alla fine la legge elettorale restituisca i contorni di un paese spaccato in tre, nel quale al Nord finisce per prevalere il centrodestra a causa della debolezza dei 5 Stelle e al Sud invece prevalgono i 5 Stelle a causa della debolezza del Partito Democratico (in Sicilia, ad esempio, si rischia una riedizione del 61 a 0 targato Micciché ma con i 5 Stelle sugli scudi). Al PD rimarrebbe il centro…e il rischio di arrivare terzo. Non solo: il piano B renziano prevede che in caso di maggioranze diverse tra Camera e Senato una riedizione del patto con Forza Italia possa portare di nuovo il Partito Democratico a spuntarla nei numeri con un governo di coalizione. E qui Renzi sottovaluta due ordini di problemi: il primo è che i deputati e i senatori eletti (per nome!) nei collegi con Forza Italia avranno molti meno argomenti per giustificare la loro personale decisione di cambiare cavallo; il secondo, peggiore, è che Forza Italia non abbia nemmeno i numeri necessari per garantire una maggioranza al PD. Insomma, il Mattarellum con il tripolarismo non solo non garantisce per niente la possibilità che subito dopo le elezioni ci sia un vincitore certo ma, a talune condizioni, potrebbe portare Renzi nella stessa situazione di Bersani nel 2013. E lì ci sarebbe da ridere.

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