I risultati della famotidina contro il Coronavirus

di neXtQuotidiano

Pubblicato il 2020-05-04

Alcuni risultati preliminari che arrivano dalla Cina e dagli Usa “sembrano suggerire che un farmaco inibitore del recettore H2R” dell’istamina, “la famotidina, comunemente usato contro l’ulcera gastrica e i bruciori di stomaco, potrebbe ridurre i sintomi sistemici di Covid-19

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Alcuni risultati preliminari che arrivano dalla Cina e dagli Usa “sembrano suggerire che un farmaco inibitore del recettore H2R” dell’istamina, “la famotidina, comunemente usato contro l’ulcera gastrica e i bruciori di stomaco, potrebbe ridurre i sintomi sistemici di Covid-19. “Tra poche settimane saranno pronti i risultati di uno studio condotto da Kevin Tracey”, presidente Feinstein Institutes for Medical Research di Northwell Health, rete di 23 ospedali nell’area di New York City. E’ “la notizia del giorno” riportata dal virologo Guido Silvestri, scienziato italiano in forze alla Emory University di Atlanta, nel suo bollettino-rubrica su Facebook ‘Pillole di ottimismo – L’ottimismo che arriva dalla conoscenza’.

I risultati della famotidina contro il Coronavirus

Secondo Tracey – ha riferito la Cnn online – i risultati preliminari dello studio potrebbero essere pubblicati nelle prossime settimane. Finora i pazienti reclutati sono stati 187, ma si punta ad arruolarne 1.200. “Se la famotidina funziona, e in questo momento il ‘se’ è d’obbligo – tiene a precisare l’esperto statunitense – sarebbe semplice usarla su larga scala” trattandosi di un medicinale “generico, ampiamente disponibile ed economico”. Tracey insiste però sul fatto che al momento non c’è alcuna certezza e raccomanda di non precipitarsi in farmacia per fare incetta dell’anti-ulcera: innanzitutto i pazienti coinvolti nello studio sono in ospedale, inoltre assumono per via endovenosa dosi circa 9 volte superiori rispetto a quelle indicate per i problemi di stomaco.

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Intanto, fa sapere sempre Silvestri, dopo aver spaventato mezzo mondo con la storia dei pazienti guariti che si riammalavano, i ricercatori coreani hanno ora specificato con grande chiarezza non solo che non si tratta di re-infezioni (per definire le quali occorrono criteri ben precisi che abbiamo discusso molte volte) o tantomeno di “seconda malattia”, ma che si tratta semplicemente di falsi positivi al test PCR sul tampone.

Così ha raccontato in modo scientificamente impeccabile il Dr. Oh Myoung-don, professore alla University of Korea Seoul, e responsabile clinico dello studio, spiegando che non è stato possibile coltivare virus “vivo” (cioè infettivo) da questi tamponi positivi alla PCR. Il Dr. Oh ha concluso che in questi casi la PCR ha molto probabilmente amplificato frammenti di virus morto che sono rimasti dentro le cellule ciliate della mucosa respiratoria. Ricordo ai non-esperti che la PCR è una tecnica estremamente sensibile per determinare la presenza di virus che non stabilisce se il materiale genetico virale che abbiamo amplificato è completo, integro e capace di replicarsi.

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