“Dopo i 14 anni è consenso”, i problemi della legge italiana sulle violenze sessuali

di Enzo Boldi

Pubblicato il 2021-05-06

La storia di Giada Vitale, abusata da un prete quando ancora era minorenne. Il prelato è stato condannato solamente per le violenze perpetrate fino a quando la giovane aveva 14 anni. Gli altri tre anni di incubo, invece, non sono stati oggetto del procedimento giudiziario

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Una storia di giustizia a metà che, in realtà, evidenzia un problema di fondo: in Italia occorre una revisione dei “limiti” di età all’interno del codice penale. La vicenda vede come protagonista (purtroppo vittima) Giada Vitale, una ragazza (ormai donna) che nel 2013 denunciò le molestie e le violenze sessuali perpetrate dal Parroco di Portocannone, in Molise. All’epoca dei fatti – era il 2009 – lei aveva solamente 13 anni e le morbose attenzioni di don Marino Genova si tramutarono ben presto in molestia e violenza sessuale. Il tutto proseguì per diversi anni, ma il processo che ha portato alla condanna definitiva (con tanto di pronunciamento della Corte di Cassazione) ha preso in esame solamente gli atti compiuti dal prelato fino a quando la giovane aveva 14 anni.

Giada Vitale, gli abusi del parroco condannato e la giustizia a metà

La storia di Giada Vitale è stata affrontata più volte dai media. Di recente, infatti, la donna ha raccontato la sua vicenda e quel processo anche in collegamento con Storie Italiane, su Rai 1.

Poi è arrivata anche in Parlamento, con alcuni commenti che squarciano il velo su quel che prevede il sistema penale italiano. Il processo nei confronti di don Marino Genova (condannato a 4 anni e 10 mesi in via definitiva) si è basato, infatti, solamente sulle violenze perpetrate nei confronti della giovane fino al compimento dei suoi 14 anni.

Il doppio fascicolo e le ipotesi di reato non giudicate perché la vittima era over 14

Dopo la denuncia di Giada Vitale (nel 2013) infatti, il procedimento aperto nei confronti del parroco di Portocannone si è diviso in due fascicoli: il primo (quello che poi ha portato al processo con condanna definitiva confermata dalla Cassazione) riguardava le molestie e le violenze fino ai 14 anni delle vittima; il secondo, invece, per tutto quel che è accaduto tra i 14 e i 17 anni di Giada. Questi tre anni da incubo, però, non sono mai stati giudicati e quel fascicolo è stato archiviato. Alla fine, dunque, la condanna a 4 anni e 10 mesi di carcere nei confronti di don Marino riguarda solamente una parte (una piccola parte) delle violenze denunciate dalla donna. Secondo la legge italiana, infatti, si parla di molestia e violenza solamente se gli atti sono compiuti fino al quel limite di età (14 anni). Dopo, i rapporti sono considerati consensuali, perché la vittima non vi si è mai sottratta o non ha mai provato a sottrarvisi.

Un vulnus che non tiene conto di molti aspetti (facciamo riferimento a quelli psicologici e non a quelli fisici) che non valutano – spesso e volentieri, come per molti altri casi di cronaca (in attesa di valutazione, per esempio, è il caso di Piazza Armerina emerso solo pochi giorni fa) – il livello di soggiogamento della vittima di questo tipo di violenza. Ed è questa la tesi sostenuta – a ripetizioni – dai legali che hanno accompagnato Giada Vitale nel corso del lungo processo. Ma le loro richieste sono cadute nel vuoto facendo emergere un paradosso: come è possibile giudicare una persona non consenziente a 13 anni e consenziente dai 14 anni in su?

(foto: da Storie Italiane, Rai1)

 

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