Chiamare Djokovic “prigioniero” è uno schiaffo a tutti i migranti respinti e imprigionati senza scelta

di Fabrizio Delprete

Pubblicato il 2022-01-07

C’è qualcosa di aberrante, nella vicenda che vede coinvolto Djokovic, che fa accapponare la pelle

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C’è qualcosa di aberrante, nella vicenda che vede coinvolto Djokovic, che fa accapponare la pelle. Un qualcosa di infimo e devastante, che squarcia l’anima solo a sentirlo pronunciare. Un qualcosa – nel marasma degli accadimenti e dei commenti – che lascia basiti, per quanto perfettamente disegna e mostra il baratro della disumanità che si è raggiunta, in un mondo che si è completamente consegnato, prono e legato, alla meschina e violenta supponenza di chi detiene potere mediatico, soldi e ha l’anima corrosa da indifferenza e odio.

Novak Djokovic
Foto IPP/Aleksandar Djorovic

E quel qualcosa non è (solo) la vicenda in sé, che di aberrante avrebbe già i connotati. No, non è tanto – per il miglior giocatore di tennis del mondo – l’essere portatore (e moltiplicatore) del virus dell’anti-scienza applicata alla fase pandemica. Novax Djokovid, la storpiatura del suo nome più aderente alla realtà; nomen omen (anche qui ci starebbe un gioco di parole, ma per la decenza dei lettori lascio fare alla loro immaginazione) di qualcosa di intollerabile, a distanza di due anni e milioni di morti dall’inizio della nuova Apocalisse.

No, a essere aberrante non è (solo) l’ignavia di chi non ha mai detto di aver fatto il vaccino, soffiando quindi sul fuoco del complottismo. Aberrante non è neanche la protervia di chi prova a violentare il sistema sportivo mondiale, credendosi novello caudillo Napoleon col ghigno suino de La Fattoria degli Animali. “Tutti gli animali sono uguali, ma alcuni sono più uguali di altri”, si sarà ripetuto Novax più volte, almeno fino all’arrivo in Australia (arrivando a postare tronfio la sua partecipazione agli Open). Perché era convinto che il denaro e lo show avrebbero vinto sulla sportività, sulle regole, sulla decenza, sulla salute.

Ma, come dicevo, non è tanto quello il tratto aberrante. E non lo è neanche la patetica scusa di un presunto certificato di esenzione dal vaccino per “problemi di salute” che poi magicamente svaniscono in campo, excusatio obbligata accusatio manifesta del suo essere NoVax.

Djokovic
foto IPP/imagosport

No. Il tratto più squallido di questa squallida vicenda è arrivato solo dopo, quando la tracotanza e la supponenza (stessi tratti che ha insopportabilmente in campo, lo sa bene chi segue questo sport meraviglioso) sono stati poderosamente sbattuti contro il muro eretto da Scott Morrison e dal suo Governo e il giocatore esiliato – come un comune mortale quale è – in un dormitoio governativo in attesa di giudizio ed espatrio.

Lì, proprio lì, ha avuto inizio la valanga di melma che ha coperto chiunque abbia un briciolo di umanità.
Prima il padre di Djokovic che in preda ad una (insulsa) crisi mistica ha paragonato il figlio a Gesù.
E poi la madre, che lo ha paragonato a un prigioniero politico prima e poi – eccolo qui l’abominio più infame e più grande – a un migrante.

Parole vomitevoli, che riescono in un secondo solo a sputare in faccia a tutte le vittime di Covid, ai loro parenti e alla loro memoria e che – specialmente – sono un calcio in bocca (l’ennesimo) a tutti quegli esseri umani che da anni vagano e muoiono come fantasmi nei nostri mari e alle nostre frontiere. Neanche una settimana fa l’ultima tragedia che ha scosso (per pochi secondi) il mondo: una donna afghana morta assiderata al confine fra Turchia e Iran.
E oggi, con quella ferita ancora aperta, dobbiamo subire queste parole.

Djokovic non è un migrante, ci sarebbe da disporre un Tso al solo pensarlo. E’ in un albergo “sporco” per la prima volta nella sua vita, benissimo. Ma è in quella situazione per una sua precisa scelta e – soprattutto – da quella situazione può liberarsi in qualsiasi momento. Non è sbarcato in Australia da un barcone fatiscente; non ha percorso centinaia di chilometri a piedi scalzo nel gelo; non è l’ultimo degli ultimi che non ha speranza di futuro.
E’ arrivato in aereo, seduto come uno sceicco e con l’arroganza di un tiranno, pensando di piegare il mondo al suo volere.

Può andarsene quando vuole (e anche qui lascio alla vostra immaginazione dove). Può vaccinarsi, può chiedere scusa, può mostrare il fantomatico certificato. Può fare tantissime cose, insomma. Tutto, tranne che fare la vittima. Perché in questa abominevole storia lui è carnefice, senza neanche il coraggio di dirlo. E adesso speriamo solo che, lunedì, sia firmato per sempre il suo foglio di via. Perché sul campo sarà anche fenomenale, ma come uomo non vale neanche un palleggio.

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