Opinioni
Se Di Maio e Salvini sono il “meno peggio” di chi è la colpa?
di Adso da Melk
Pubblicato il 2018-10-08
Gli elettori italiani votano in modo razionale, scegliendo “il meno peggio”, e lo fanno dal 1946, quando ci furono le prime elezioni libere dopo la fine della WW2. Dal 1946 alla Caduta del Muro di Berlino gli italiani hanno fatto scelte, nel segreto dell’urna, molto semplici, razionali, più che giustificate dal contesto nazionale ed internazionale, […]
Gli elettori italiani votano in modo razionale, scegliendo “il meno peggio”, e lo fanno dal 1946, quando ci furono le prime elezioni libere dopo la fine della WW2. Dal 1946 alla Caduta del Muro di Berlino gli italiani hanno fatto scelte, nel segreto dell’urna, molto semplici, razionali, più che giustificate dal contesto nazionale ed internazionale, premiando il partito, a forte base popolare e di massa, che si opponeva al comunismo che per lunghi decenni ha rappresentato il “fattore K”; per 40 anni la scelta, evidente, è stata fra votare uno dei 2 grandi partiti entrambi di massa ed a forte base popolare, la DC ed il PCI, che insieme, durante tutto il periodo in oggetto, rappresentarono fra il 75% e l’80% dei suffragi; d’altronde, perché votare per altri partiti poco rappresentativi e poco rappresentati, che non avevano alcuna possibilità di incidere sul corso degli eventi e degli equilibri politici? La Caduta del Muro ha fatto cadere anche gli equilibri politici interni, “bloccati” per tutto il periodo; dopo decenni di amministrazioni centrali a guida democristiana e locali a guida sia democristiana che comunista — via via divenute sempre meno “popolari” e sempre più “autoreferenziali” con un crescente peso del clientelismo, e contraddistinte da una progressiva cattiva amministrazione, con amministratori incapaci e scelti non fra i meritevoli ma fra i servizievoli – l’orientamento degli italiani al momento del voto è divenuto sempre più insofferente verso formazioni che rappresentavano il passato, e questo diverso orientamento è divenuto uno tsunami dopo la fase passata alla storia come “Mani Pulite”. I due partiti che la facevano da padroni si sono infine ammogliati (malamente, ci pare di poter chiosare) cercando di salvare il salvabile, ma non riuscendovi: oggi il frutto della fusione non raggiunge il 20% dei voti validi, ed un consenso inferiore nel paese. Il paese ha vissuto, con l’avvio della c.d. Seconda Repubblica, la possibilità di scegliere fra 2 coalizioni nate attorno ai 2 partiti popolari e di massa più importanti, il PD e Forza Italia, che si sono alternati alla guida del paese, delle regioni, dei comuni; il voto è da allora divenuto ondivago, variabile, utilizzato per dare anche precise indicazioni ai candidati ed ai partiti.
Possiamo affermare che tali precise indicazioni non sono state comprese dai partiti e dai rispettivi vertici, convinti di poter continuare a gestire la cosa pubblica con le usuali armi del Principe: prebende ed assegni elargiti col preciso obiettivo di comprare consenso, e quindi favorendo e cavalcando corruzione, favoritismi, malversazioni. I cittadini sono pazienti, ma non fessi, e guardano al proprio “particulare” con la dovuta attenzione ed apprensione. Con l’avvitarsi della recessione, la perdita di posti di lavoro, la consapevolezza che le condizioni di vita godute sino a ieri non erano più sostenute e sostenibili nel presente ed ancor più nel futuro, le indicazioni di voto sono state precise, razionali, anche se i risultati sembrano – ai pochi o tanti che si svegliano giulivi dopo troppi anni di “Milano da bere” – contraddire le leggi della fisica e della buona economia. Gli italiani, molto banalmente, erano e sono stufi della vecchia offerta politica: hanno affossato e bocciato una generazione di politici di Forza Italia e del PD, dicendo un forte “basta!” a messaggi, comportamenti, connivenze, occupazioni del potere che avevano invaso ogni spazio disponibile. La politica è fatta di momenti e di numeri; i primi sono imprevedibili, i secondi prevedibili: se fai una cattiva gestione della cosa pubblica, perderai consenso; il momento arriva quando meno te lo aspetti, o quando pensi di potercela fare “aggiustando” le regole del gioco. La diversa composizione sociale e generazionale intervenuta dal dopoguerra ad oggi ha pesato in modo significativo sulla “appartenenza” a ideologie, partiti, movimenti; la tecnologia ha aggiunto alternative nella diffusione di notizie e fatti (con una progressione geometrica delle fonti e relativa difficoltà di distinguere fra rilevante ed irrilevante, vero e falso); ma depurando tutto questo, emerge evidente il desiderio, la necessità, l’ineluttabilità del cambiamento: “quanti hanno governato sino ad ora sono stati degli incapaci, sia a destra che a sinistra; proviamo questi altri e vediamo che sanno fare; potremo sempre cambiare”.
Questo è quanto avvenuto, molto semplicemente. Ancora una volta, gli elettori hanno fatto la scelta più coerente, razionale, la “meno peggio”. Se non c’è una decente offerta politica alternativa, se si è stufi di quanti hanno sinora governato, anche alternandosi, allora meglio votare per chi non ha mai governato. Altra cosa ed altra impresa è che al desiderio di cambiamento corrisponda un effettivo cambiamento, sperabilmente in meglio. La storia ancora una volta ha premiato i partiti di massa e non potrebbe essere diversamente. Oggi, le masse sono rappresentate, identificandosi, con Lega e M5S, che hanno sostituito il PD e Forza Italia di ieri, e DC e PCI dell’altro ieri. La omogeneizzazione del paese, la uniformità dei modelli di vita e di riferimento hanno sempre premiato e premieranno la “massificazione” dei sentimenti, delle attitudini, dei comportamenti. Certo, la asticella si è abbassata: ma non era questo che per decenni partiti, sindacati, chiesa ci hanno insegnato ed hanno pervicacemente, colpevolmente e diabolicamente perseguito e realizzato? Scuola e lavoro si sono adeguati, ed in fretta. Sino a quando non ci sarà una nuova offerta politica che si concentri su messaggi e programmi chiari, semplici, comprensibili alle masse, la situazione politica resterà quella è oggi, né più né meno. Ci dispiace deludere quanti si credono élite: la belle époque non tornerà.