Cosa succede in Grecia tra bombe e scontri con l'UE

di Faber Fabbris

Pubblicato il 2015-11-30

L’ondata di attentati a Parigi, le tensioni internazionali sullo scacchiere mediorientale, la situazione gravissima in Turchia hanno eclissato gli altri avvenimenti di politica europea. In Grecia continua la difficilissima battaglia di Tsipras per resistere alle ingiunzioni della Commissione e limitare i danni dell’accordo del 13 luglio. Fra defezioni di peso nella sua maggioranza e calcoli micropolitici dell’opposizione

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La Grecia è da tempo sparita dalle prime pagine, occupate da eventi certo più tragici e gravi, ma in fondo non dissociati da quanto accade ad Atene da un anno a questa parte. Dopo la firma -più che sofferta- dell’accordo con i creditori il 13 luglio scorso, una parte di Syriza aveva rifiutato di avallare le misure procicliche previste. Tsipras si era dunque ripresentato agli elettori, riuscendo in un impresa pressoché disperata secondo molti: vincere le elezioni e ricostituire (sia pure di misura) la maggioranza con i Greci Indipendenti (155 deputati contro i 162 di gennaio, su un totale di 300 seggi).

Intanto, in Grecia…

La linea di Tsipras in campagna elettorale, e quella sulla quale ha dato sinora battaglia, può riassumersi in questi termini: mitigare quanto più possibile le misure richieste dalla ex-Troika, orientandole socialmente, sostituendole in parte o in tutto con misure equivalenti (i cosiddetti ισοδύναμα); lasciare in sospeso alcune questioni particolarmente controverse, per negoziarle ulteriormente ; cercare implicitamente di prendere tempo, attendendo un cambio degli equilibri all’interno dell’Eurogruppo. Ad esempio, la fine della tariffa ridotta per l’IVA (di cui godevano le isole greche) è stata rimandata sine die per Lesbo, Cos, Chio e Samo: la disperata situazione umanitaria vissuta da queste isole, con il flusso drammatico di uomini vivi e morti sulle sponde greche che si affacciano verso la Turchia, ha fatto cedere la caparbia insistenza di Schauble e Dijisselbloem. Fino all’ultimo, i falchi dell’Eurogruppo consideravano lo ‘sconto’ sull’IVA un privilegio ingiustificato per luoghi turistici. In modo simile, Tsipras è riuscito ad evitare che venga imposta l’IVA sulle spese legate all’educazione (asili nido privati, istituti privati di sostegno allo studio, in Grecia diffusissimi e frequentati anche dalle classi sociali medio-basse); i mancati introiti previsti dall’accordo sono stati trovati con una tassa ad hoc sugli alcolici. Ancora, sulla spinosissima questione dei crediti inesigibili (mutui per l’acquisto della prima casa), Tsipras è riuscito a stappare terreno rispetto alle esigenze iniziali dei creditori; questi chiedevano di mettere all’asta pressoché senza condizioni le case gravate da ipoteche, qualora i proprietari non fossero in grado di rimborsare i prestiti alle banche. Una moratoria temporanea -fino alla fine del 2015- copre per il momento tutti gli immobili. A partire dal 2016, Atene è riuscita a negoziare l’esenzione dalla misura per gli immobili fino a 180.000€ per un contribuente scapolo, cifra che sale a 220.000€ per una coppia senza figli, e fino a 280.000€ per una coppia con tre figli. Allo stato attuale del mercato immobiliare in Grecia, questo perimetro permette di proteggere dalla vendita all’asta circa il 60% delle prime case con un mutuo in sofferenza.

I problemi di Syriza

Con questa logorante guerra di posizione Tsipras è riuscito ad assicurare alla Grecia l’esborso della prima fetta di ‘aiuti’ (2 miliardi di euro più 10 per la ricapitalizzazione delle banche, su un piano globale di 85) lo scorso 23 novembre. Ma la battaglia ha lasciato segni sulla maggioranza parlamentare costituita da Syriza e Greci Indipendenti (Anel). Il 19 novembre, al momento del passaggio parlamentare su un pacchetto di misure, un deputato di Anel (Nicola Nicopoulos) ha deciso di votare contro, considerando insufficiente la protezione sulla prima casa. Panos Kammenos, ministro della difesa e guida dei Greci Indipendenti, ha espulso dal partito Nicopoulos, richiedendo di ‘restituire il seggio’ al gruppo parlamentare (pratica consentita dalla costituzione greca), ma si è visto opporre un rifiuto. Anche nel campo di Syriza, un deputato non ha partecipato al voto, giudicando inaccettabile il contenuto del disegno di legge. Si tratta di Stathis Panagoulis, fratello del celebre Alessandro Panagoulis, eroe della resistenza al regime dei Colonnelli, raccontato da Oriana Fallaci in Un uomo. Fra le figure simbolo della sinistra greca -anche se più per luce riflessa che propria- Panagoulis è abbastanza noto per prese di posizione enfatiche: non si è risparmiato in questo frangente, rifiutando di ‘restituire il seggio’ al proprio partito, e ricordando che “solo i colonnelli misero la museruola al popolo”. Altra defezione di rilievo, piuttosto inattesa, è quella di Gabriele Sakellaridis, ex portavoce del primo governo Syriza-Anel e (ex)fedelissimo di Tsipras, del quale ha seguito tutto il percorso politico. “Non riesco a portare avanti la politica del governo”, ha dichiarato nella laconica lettera di dimissioni alla vigilia del voto parlamentare sul pacchetto di misure richieste dai creditori. L’abbandono di Sakellaridis, che ha rispettato la disciplina di partito “restituendo” il suo seggio, ha un valore simbolico molto forte, e segna una rottura all’interno del nucleo dirigente di Syriza, anche se non ha comportato una perdita ulteriore di voti per la maggioranza. Il margine parlamentare di cui dispone il governo Tsipras si è in definitiva ridotto a soli 2 voti in più della maggioranza assoluta (l’esecutivo può contare su 153 deputati), e non è detto che le ulteriori misure richieste da Bruxelles non suscitino esitazioni fra i deputati.

La riforma delle pensioni obbligatoria

L’eurogruppo ingiunge infatti ad Atene di votare una pesante riforma previdenziale entro il prossimo 11 dicembre. Tsipras è esplicitamente contrario ad ulteriori decurtazioni delle pensioni, e sa che questo è un tema sensibilissimo per il suo partito e per tutto il paese: in vista del voto su questo tema il primo ministro greco ha richiesto al Presidente della Repubblica Pavlopoulos di riunire il 28 novembre i capi dei partiti rappresentati in parlamento (si tratta di una prassi istituzionale in Grecia) per discutere la strategia nazionale su tre grandi temi: il sistema previdenziale; la crisi dei rifugiati e la politica estera; la riforma della costituzione (incluso un sistema elettorale più proporzionale). La proposta di Tsipras era quella di sottoscrivere un testo comune nel quale tutta la rappresentazione nazionale ribadisse alcuni punti fermi. Questo per dare forza alla Grecia come paese nell’ambito dei negoziati internazionali, rinvigorendo la posizione governativa e condividendo sull’arco più ampio possibile le prossime scelte politiche. Tsipras ha chiaramente detto che nessun governo ‘ecumenico’ era oggetto di questi incontri, anche se vaste speculazioni sono recentemente circolate a riguardo. In particolare Tsipras ha proposto agli altri partiti (tranne Alba Dorata) una dichiarazione di principio: la Grecia rifiuta di procedere ad ulteriori tagli alle pensioni ed istituisce una commissione parlamentare per definire soluzioni di finanziamento che permettano di mantenerle agli attuali livelli. Uno degli obbiettivi del primo ministro era certo quello di guadagnare tempo e mettere sulla bilancia una ‘volontà nazionale’ su questo tema. Ma i capi del Pasok, del Fiume, di Nuova Democrazia (rappresentata dal quasi sconosciuto Plakiotakis, al comando temporaneo di una formazione allo sbando) hanno rifiutato -pare dopo una iniziale esitazione- di sottoscrivere la proposta Tsipras. “Non accetteremo di partecipare ad artifici di comunicazione” ha dichiarato per il Pasok Fofi Ghennimatà. Solo l’Unione di Centro, rappresentata da Vasilis Leventis, ha chiesto di «non prendere Tsipras a sassate», in ragione della situazione più che delicata per il Paese.

Tsipras e Costa

Ha insomma prevalso il calcolo politico da cortile, immediatamente svelato agli occhi degli elettori greci, che sanno bene chi porti la responsabilità delle politiche liberiste applicate ‘ecumenicamente’ nell’ultimo decennio. L’idea -neppure troppo velata- è sperare nella caduta del governo Tsipras, per procedere ad un esecutivo ‘tecnico’ di osservanza liberale. Lo stesso primo ministro ha del resto dichiarato “chi vuol fare cadere il governo sa che deve farlo prima di Natale”, perché il periodo critico è proprio quello di dicembre, con le misure più dure da approvare. In una allocuzione televisiva dopo la riunione, Tsipras ha accusato ND e il Pasok di “anteporre la loro sopravvivenza come partiti agli interessi dei lavoratori e dei pensionati”. Ha però ribadito che il governo porterà il parlamento la sua proposta, obbligando gli altri partiti a prendere posizione sul taglio o meno delle pensioni. “Il piano strategico per portare il paese fuori dalla crisi, e recuperare sovranità rispetto ai creditori, riuscirà” ha aggiunto Tsipras. E ha concluso con un occhio a quanto è successo in Portogallo: “I rapporti di forza cominciano a cambiare in Europa. E in un’Europa che cambia, la Grecia giocherà un ruolo di primo piano; il nostro paese sarà in piedi”. Oggi (29 novembre) Tsipras era a Bruxelles per il summit UE-Turchia sui rifugiati. Antonio Costa, premier del paese europeo ormai più politicamente vicino a Syriza, era alla sua prima riunione. I cronisti descrivono come ‘particolarmente caloroso’ l’incontro tra i due. Al prossimo eurogruppo la Grecia non avrà più un ministro delle finanze ostile, come la friedmaniana Albuquerque, fra i peggiori cani da guardia di Schauble, ma il più progressista Mario Centeno, accademico che parla di “sostegno alla domanda interna” e “ricostruzione del tessuto produttivo”. Tsipras sa che il successo del suo governo dipende molto “dal cambiamento in Europa”. E dal ritmo al quale potrà procedere. Speriamo sia più rapido delle truppe della conservazione.

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