Coronavirus: l’OMS e la minaccia pandemia

di neXtQuotidiano

Pubblicato il 2020-03-09

Ghebreyesus ha voluto comunque lanciare un messaggio rassicurante: “Ora che il Coronavirus ha un piede in così tanti Paesi, la minaccia di una pandemia è diventata molto reale. Ma sarebbe la prima pandemia nella storia che potrebbe essere controllata. La linea di fondo è: non siamo in balia di questo virus”

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La minaccia di una pandemia è “molto reale”: lo dice il direttore generale dell’Oms, Tedros Adhanom Ghebreyesus, in un nuovo aggiornamento sul Coronavirus. Nei giorni scorsi era emerso che l’Organizzazione Mondiale della Sanità si stava preparando a dichiarare la pandemia.

Coronavirus: l’OMS e la minaccia pandemia

Ghebreyesus ha voluto comunque lanciare un messaggio rassicurante: “Ora che il coronavirus ha un piede in così tanti Paesi, la minaccia di una pandemia è diventata molto reale. Ma sarebbe la prima pandemia nella storia che potrebbe essere controllata. La linea di fondo è: non siamo in balia di questo virus”. E ancora: “Questa sarebbe la prima pandemia della storia che sarà possibile controllare”. E poi il direttore generale dell’OMS ha parlato dell’Italia: “L’Italia è uno dei quattro paesi al mondo con più casi ma sta adottando misure aggressive e speriamo che nei prossimi giorni vedremo i risultati”. Infine: “Che sia pandemia o no, la regola è la stessa: non mollare”.

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Coronavirus: i contagi nel mondo (La Repubblica, 9 marzo 2020)

Per l’OMS attualmente l’epidemia di coronavirus non è omogenea a livello globale e ci sono scenari differenti, che richiedono una risposta specifica e su misura, non bisogna scegliere tra contenimento e mitigazione, bisogna seguire entrambe le strade contemporaneamente, ha detto Ghebreyesus. I numeri, ha spiegato il numero uno dell’Oms, ‘non raccontano la storia completa: finora, il 93% dei casi di contagio registrati a livello globale è concentrato in quattro Paesi’. Ghebreyesus ha detto che nel corso del weekend è stata superata la soglia dei 100mila casi riportati, in 100 Paesi. Degli 80.000 casi riportati in Cina, più del 70% è guarito ed è stato dimesso dagli ospedali. “Dobbiamo ricordare che con misure decisive e tempestive possiamo rallentare il virus e prevenire la diffusione”, ha detto. Per questo l’ente al momento non usa ancora la parola pandemia, anche se ammette che la diffusione è molto rapida in termini di contagi e di Paesi coinvolti. “Non è un tema di parole usate, il problema è cosa succede quando si usano determinate parole”, ha aggiunto Michael Ryan, direttore esecutivo dell’OMS. “La vera regola del gioco è non mollare mai, ma questo può essere fatto solo con misure aggressive, messe in atto il più presto possibile”, ha detto il numero uno dell’OMS, spiegando che “per il momento si vedono solo pochi Paesi con segni di una sostenuta trasmissione all’interno della comunità e finché la situazione resta questa, i Paesi hanno la possibilità di spezzare la catena dei contagi”.

Coronavirus, l’OMS e la pandemia

Nei giorni scorsi in un articolo della Stampa si raccontava che l’OMS era pronta a dichiarare la pandemia. Che significa, spiegava Paolo Russo sulla Stampa, dire ai singoli Stati di fare un passo indietro ed eseguire i piani dell’Oms per impedire che il virus dilaghi. Misure che possono andare dallo stop alle attività produttive ai limiti alla circolazione anche via terra e che potrebbero essere applicate in primis nel nostro Paese.

Anche gli esperti dell’Oms sanno che oramai si è già passati a quella che la stessa organizzazione definisce «fase sei», equivalente al «periodo pandemico». Al quale, secondo il loro stesso schema di classificazione delle epidemie, corrispondono misure per minimizzarne l’impatto e non più per bloccare la diffusione del virus, ritenuta oramai inevitabile. Una strategia pensata per impedire impennate di contagi, che mandino sotto stress i servizi sanitari. Entro 7, massimo 10 giorni, dalla sede di Ginevra l’Oms proclamerà lo «stato pandemico». «Il tempo di avere dati consolidati anche dall’Africa e dall’America Latina», spiega Walter Ricciardi, dell’executive board dell’organizzazione.

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La diffusione del virus (La Repubblica, 6 marzo 2020)

Attualmente per l’OMS ci troviamo comunque nella fase 5, quella di «allerta pandemica», nella quale la risposta è quella che gli epidemiologi definiscono di «contenimento», quando si può ancora isolare una persona colpita e poi tracciare e mettere in quarantena i suoi contatti. «Ma stiamo già passando alla fase successiva di “mitigazione”, ossia quella di riduzione del danno visto che non posso più bloccare la diffusione del virus», spiega Ricciardi. Nel resto d’Europa, a parte l’Italia che resta il principale focolaio, l’epidemia dà segnali sconfortanti. In Francia, ad esempio, si contano almeno 285 contagi e 4 morti, e si è passati ad un piano di gestione dell’emergenza superiore alla fase in cui si cercava di non far entrare il virus nel Paese. In Gran Bretagna si è registrato il più alto incremento, con 85 casi accertati, e oltre 16mila test, un numero inferiore solo a quelli fatti in Italia. Le infezioni sono aumentate anche in Olanda e Belgio, e ci sono primi caso in Polonia e Ungheria. Il coronavirus procede con più velocità fuori dalla Cina, dove al contrario si registra un terzo calo consecutivo del numero dei contagi. Nelle ultime 24 ore, la proporzione è di 120 nuovi casi nel gigante asiatico e di oltre 2.000 in 35 paesi. Il secondo principale focolaio si conferma la Corea del Sud, arrivata ad oltre 5.600 contagi con un balzo di oltre 500 in un solo giorno. Situazione sempre più grave anche in Iran, con quasi tremila contagi (inclusi diversi parlamentari, alti funzionari ed il ministro dell’Industria) e 92 morti. In Giappone, il coronavirus ha superato la soglia psicologia di mille malati.

Coronavirus: cosa succede se l’OMS dichiara la pandemia

L’epidemia si diffonde sempre di più anche negli Stati Uniti. Tanto che il Fondo Monetario Internazionale ha mobilitato 50 miliardi di dollari in aiuti per i Paesi poveri che stanno fronteggiando l’epidemia.

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La mappa del Coronavirus in Italia (La Repubblica, 6 marzo 2020)

Nei giorni scorsi si è anche parlato dei Cat-Bond, ovvero le obbligazioni della Banca Mondiale per il Pandemic Emergency Financing Facility (Pef): per reperire fondi si istituiscono degli strumenti finanziari che rendono moltissimo con tassi di interesse fino all’11 per cento. Gli investitori, fondi pensioni, assicurazioni,grandi investitori scommettono sul verificarsi dell’evento: se non si verifica guadagnano moltissimo, altrimenti perdono tutto o parte del loro capitale. Nel caso dei Cat-Bond del programma Pef, la Banca mondiale aveva emesso nel 2017 due tipi di obbligazioni: una di classe A dal valore di 225 milioni di dollari con rendimento del 6,9% e una di classe B da 95 milioni, rendimento dell’11%. Il Pef, scrive la stessa Banca mondiale, “copre sei virus che hanno maggiori probabilità di causare una pandemia. Questi includono nuovi Orthomyxovirus(nuovo virus pandemico influenzale A), Coronaviridae (Sars, Mers), Filoviridae (Ebola, Marburg) e altre malattie zoonotiche (Crimea Congo, Rift Valley, Lassa febbre)”. Il finanziamento ai Paesi ammissibili, continua l’istituto internazionale, viene attivato al verificarsi di determinati parametri relativi ai livelli di contagio, al numero dei decessi o alla velocità di diffusione della malattia. Nel caso in questione, le condizioni indicano almeno 12 settimane di durata – scadenza che sarà rispettata il 23 marzo –un numero di morti nel Paese originario fissato a 2.500 e già superato in Cina, e un numero di morti in altri Paesi di almeno 20, ormai superato abbondantemente in Italia, Iran e anche in Corea del Sud. Non risulta, invece, almeno stando alle dichiarazioni della società di consulenza finanziaria specializzata Arte mis (con sede alle Bermude), che la pandemia in quanto tale debba essere dichiarata dalla Oms.

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