Il governo “dimentica” le coperture del decreto crescita

di neXtQuotidiano

Pubblicato il 2019-04-17

Approvato il 20 marzo con la formula magica del “salvo intese”. Che non sono mai state trovate

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Il governo “dimentica” le coperture del decreto crescita, che ancora giace alla Ragioneria dello Stato senza che possa essere licenziato nonostante la sua approvazione sia datata 20 marzo. Ma con la formula magica dell'”approvazione salvo intese”, che già all’epoca di Renzi sembrava una presa in giro. Racconta oggi Alessandro Barbera sulla Stampa:

Le furbizie spesso si ritorcono contro chi ne abusa: a forza di rinvii, i due decreti sono diventati oggetto di continue mediazioni. Il decreto crescita si è gonfiato come un soufflé e – con grande imbarazzo del Quirinale – è diventato un costosissimo «omnibus». Prima venti, poi trenta, infine cinquanta articoli. Secondo le stime che circolano alla Ragioneria, il provvedimento è ancora senza coperture per mezzo miliardo di euro.

La prima bozza era effettivamente una lista di misure a basso costo per stimolare la crescita: fra i tanti la modifica del regime Ires per le imprese, l’aumento della deducibilità dell’Imu sui capannoni industriali, la reintroduzione di fortissimi sgravi fiscali per chi acquista beni strumentali. Poi Di Maio ha voluto entrasse ben altro: il trasferimento dei debiti di Roma allo Stato (al quale la Lega è sostanzialmente contraria), la conversione del prestito-ponte di Alitalia, le norme che modificano la Finanziaria nella parte in cui permette il risarcimento di azionisti e obbligazionisti delle banche fallite.

Ora si rischia di arrivare a dopo Pasqua per l’approvazione:

Solo quest’ultimo punto ha impegnato il governo per tre consigli dei ministri: da un lato il Tesoro, che ha trattato una mediazione sulle regole europee che vietano rimborsi a pioggia, dall’altra i Cinque Stelle, che pretendevano di restituire tutto a tutti, persino a chi avesse perso soldi con investimenti speculativi.

Poiché la Carta costituzionale prevede che i decreti vengano trasformati in legge dal Parlamento entro sessanta giorni dalla pubblicazione in Gazzetta, nel frattempo è emersa un’altra preoccupazione: evitare di far scattare i tempi di conversione prima di Pasqua.

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