Conti individuali di Risparmio (CIR): perché la nuova idea del governo per i Titoli di Stato è inutile

di Massimo Scolari

Pubblicato il 2018-09-08

Alcuni articoli di stampa hanno preannunciato una prossima iniziativa legislativa dedicata alla creazione di Conti Individuali di Risparmio (Cir); la proposta del Governo consisterebbe nel mettere a disposizione dei residenti italiani un impiego del risparmio in Titoli di Stato sostenuto da incentivi fiscali. Nelle dichiarazioni che si sono recentemente susseguite da parte di alcuni esponenti della …

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Alcuni articoli di stampa hanno preannunciato una prossima iniziativa legislativa dedicata alla creazione di Conti Individuali di Risparmio (Cir); la proposta del Governo consisterebbe nel mettere a disposizione dei residenti italiani un impiego del risparmio in Titoli di Stato sostenuto da incentivi fiscali. Nelle dichiarazioni che si sono recentemente susseguite da parte di alcuni esponenti della compagine governativa, lo scopo sarebbe anche quello di ridurre la dipendenza dagli operatori internazionali nel finanziamento del disavanzo pubblico, riducendo progressivamente lo stock di titoli pubblici detenuti all’estero (ad oggi circa 700 mld di euro).

Non sono ad oggi disponibili i dettagli tecnici del progetto di legge; tuttavia è utile richiamare alcuni elementi di valutazione sull’attuale contesto del mercato finanziario domestico.
In primo luogo le attività finanziarie delle famiglie italiane. Il totale delle attività finanziarie, le statistiche si riferiscono al primo trimestre 2018, detenuto dalle famiglie è di 4.370 miliardi. Solo 122 miliardi (il 2,8%) è lo stock di titoli di debito pubblico detenuto direttamente dalle famiglie. Il peso degli investimenti nei titoli di debito pubblico, che nei decenni precedenti era piuttosto consistente, si è ridotto drasticamente. Basti pensare che a metà degli anni novanta le famiglie detenevano 330 miliardi di Titoli di Stato, il 18,5% del portafoglio totale. Ciò è avvenuto nonostante il favorevole trattamento fiscale dell’investimento in Titoli di Stato (12,5% del reddito finanziario rispetto al 26% previsto per gli altri strumenti finanziari). La quota del totale del debito pubblico detenuta direttamente dalle famiglie rappresenta oggi solo poco più del 5%, mentre era quasi del 30% alla metà degli anni 90. Gli investitori internazionali detengono una quota del 31% del debito pubblico italiano.

ARMANDO SIRI

La proposta dei CIR sembrerebbe quindi orientata ad invertire questa tendenza consentendo agli investitori residenti un maggiore vantaggio fiscale a fronte di un progressivo aumento degli investimenti in titoli pubblici. Tuttavia è bene ricordare che nel mercato finanziario italiano sono stati recentemente istituiti i Piani Individuali di Risparmio (PIR) con lo scopo di contribuire al finanziamento delle imprese italiane, soprattutto nel segmento delle PMI, mediante l’investimento di un importo massimo di 30 mila euro in veicoli finanziari (fondi comuni di investimento, polizze vita, depositi in custodia e amministrazione) con un’agevolazione fiscale (azzeramento dell’aliquota d’imposta), a condizione di mantenere il Pir in portafoglio per almeno 5 anni. Nel 2017 si è assistito al lancio dei Pir che hanno ottenuto un buon successo presso i risparmiatori che hanno investito complessivamente circa 11 miliardi di euro. Il numero degli investitori è stato di circa 800 mila (di cui 500 mila nuovi investitori).

La nuova proposta di istituzione dei Cir entrerebbe quindi in concorrenza con gli attuali strumenti disponibili sul mercato (già fortemente agevolati dal punto di vista fiscale) e difficilmente potrebbe raggiungere i volumi di raccolta necessari a modificare sostanzialmente le proporzioni dei detentori dei titoli pubblici. I numeri che abbiamo oggi a disposizione ci dicono che, se guardiamo ai dati degli ultimi due anni, la crescita totale delle attività finanziarie delle famiglie (al lordo delle passività) si attesta intorno a 35-40 miliardi all’anno. Il flusso di risparmio delle famiglie, come anche evidenziato dai dati forniti dall’Istat, sta continuando a flettere (7,9% del reddito disponibile nel primo trimestre 2018, al lordo degli investimenti reali pari al 5,9%). Anche se i Cir riuscissero a replicare il successo dei Pir, cosa abbastanza difficile tenuto conto delle dimensioni del risparmio disponibile, ridurrebbero la quota detenuta dagli investitori esteri di un ammontare di poco superiore allo 0,4% all’anno. Sarebbero necessari alcuni decenni, senza brutte sorprese per i risparmiatori, per ottenere un significativo “rimpatrio” dei Titoli di Stato detenuti dagli operatori internazionali.

Leggi sull’argomento: Debito pubblico, i dilettanti allo sbaraglio ne “La Corrida” di Via XX settembre

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