Commerzbank e la storia dei BTP da vendere e del downgrade dell’Italia a junk

di dipocheparole

Pubblicato il 2020-04-02

Commerzbank invita a vendere i BTP perché è quasi inevitabile la perdita dell’investment grade da parte dell’Italia dopo le misure di finanza pubblica decise per contrastare gli efffetti del lockdown da Coronavirus. In un report per i clienti, racconta oggi Il Sole 24 Ore, si suggerisce di «chiudere le posizioni lunghe» sui BTp. Insomma, vendere. Cifre …

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Commerzbank invita a vendere i BTP perché è quasi inevitabile la perdita dell’investment grade da parte dell’Italia dopo le misure di finanza pubblica decise per contrastare gli efffetti del lockdown da Coronavirus. In un report per i clienti, racconta oggi Il Sole 24 Ore, si suggerisce di «chiudere le posizioni lunghe» sui BTp. Insomma, vendere.

Cifre alla mano viene stimato – ma anche questo era noto, ai clienti della banca tedesca bastava leggere i giornali – che il rapporto debito-pil sfiorerà il 150% nel 2020 per scendere al 145% nel 2022 grazie al rimbalzo del Pil «ma questo potrebbe non bastare a prevenire un downgrade a junk». I report per i clienti, soprattutto quelli più facoltosi, sono un fatto usuale, e spesso le previsioni si spingono parecchio avanti.

Ma quando c’è di mezzo la Germania, specie in un momento delicato sia sul fronte mercati (lo spread) che su quello politico (il negoziato sulle misure comuni a sostegno dei conti pubblici dei paesi Ue) le cose si complicano facilmente. Anche perché in una nota – e spesso il diavolo si annida nei dettagli – l’analista, che fa di nome Michael Leister, scrive che con l’Italia l’incubo dell’euro potrebbe diventare realtà.

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Certo, fa effetto vedere scritta la parola “junk”, come se fosse un gioco di società, visto che si parla di Italia, e di una fenomeno che investe tutta l’Europa con tempistiche diverse, e che viene misurato con metodologie diverse, giusto per rimanere sulla Germania. Ma la Commerzbank, per quanto grossa, non è il governo tedesco, e un analista, per quanto autorevole, non è la banca intera: del resto lo stesso Leister, che si appassiona all’Italia, nel maggio 2019 pronosticava che Matteo Salvini sarebbe diventato “nuovo uomo forte dell’Europa», con conseguente frattura con Bruxelles. I report quindi valgono quel che valgono, ma il tema rating resta.

Come scritto da Il Sole 24 Ore il 28 marzo (“Agenzie di rating caute per ora su banche e debito sovrano”) le due date da tenere d’occhio sono il 24 aprile, quando si pronuncerà S&P global, e l’8 maggio, quando sarà la volta di Moody’s e Dbrs. Sulle banche l’approccio finora seguito non ha portato a immediati tagli di rating, ma vi sono state riduzioni dell’outlook, che lasciano prevedere possibili futuri tagli. Si vedrà.

Eppure va segnalato che le banche tedesche, insieme a quelle francesi sono tra le più esposte in Europa al rischio legato all’instabilita’ dei mercati finanziari che nelle ultime settimane, con lo shock del coronavirus, e’ tornata a manifestarsi in modo acuto. Un’analisi del Cer mette in evidenza che sul monitoraggio e contenimento del rischio di mercato le Autorità di vigilanza europee sono state molto meno severe rispetto a quanto prescritto per il rischio di credito, come evidenziato dall’istituto in numerose ricerche pubblicate nel corso degli ultimi anni. “Ne consegue che, ancora oggi, all’interno dei bilanci delle banche europee, soprattutto nel centro e nord Europa, la rischiosità legata alle esposizioni sul rischio di mercato sia ancora molto elevata”. Il lavoro del Cer esamina, per un gruppo di grandi banche europee, il rapporto tra derivati attivi e totale attivo nonche’ il totale dei derivati in relazione al patrimonio netto tangibile.

Dalle due elaborazioni emerge come Deutsche Bank, Bnp Paribas e Barclays abbiano indicatori pari ad almeno il doppio rispetto alle 23 banche esaminate. L’ingente presenza dei derivati nei bilanci “desta preoccupazione”, scrive il Cer, se esaminati in rapporto al patrimonio: in quello di Deutsche Bank sono pari a quasi 6 volte il patrimonio della banca, nel caso di Bnp Paribas si supera di poco il 500%, mentre con Barclays la percentuale arriva al 430%. Inoltre, sopra il 300% si posizionano, nell’ordine, Nordea, Commerzbank, RBS, Societé Generale e Credit Suisse. Se ci si focalizza sulle banche operative nell’eurozona “è evidente come le banche tedesche e francesi mostrino valori mediamente più elevati rispetto alle banche di altre nazioni. Le due maggiori banche italiane (Intesa Sanpaolo e UniCredit) si posizionano ben al di sotto della media, con valori inferiori alla meta’ della media”.

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