Opinioni
Disavventure didattiche al tempo del Covid 19 (e come cambia l’università)
di Vincenzo Vespri
Pubblicato il 2020-07-11
Da Marzo, salvo un giorno a Giugno, non ho più messo piede in Dipartimento. Stare a casa invece che in ufficio rende, dopo un po’, i giorni indistinguibili. La domenica diventa uguale ad una giornata lavorativa. E’ diventato facile, almeno per me, mancare un appuntamento per aver sbagliato giorno. Ad esempio, non ho partecipato alla […]
Da Marzo, salvo un giorno a Giugno, non ho più messo piede in Dipartimento. Stare a casa invece che in ufficio rende, dopo un po’, i giorni indistinguibili. La domenica diventa uguale ad una giornata lavorativa. E’ diventato facile, almeno per me, mancare un appuntamento per aver sbagliato giorno. Ad esempio, non ho partecipato alla discussione preliminare per l’elezione del nuovo Direttore di Dipartimento proprio perché avevo sbagliato giorno. Un’altra volta, al mio povero laureando, ho fissato un appuntamento di domenica per ripetere la presentazione della tesi non per non rispettare il precetto delle feste comandate ma perché avevo confuso la domenica con il lunedì. Ieri ho fatto un errore ancora più clamoroso: ho pensato fosse giovedì invece di venerdì e non ho partecipato alla commissione tesi dove si presentava proprio il mio laureando. Oltre ad avere fatto una figura inqualificabile, mi son sentito in cruccio per aver mancato di rispetto al mio studente. La laurea è un giorno importante e di festa…Non è bello se il relatore non è lì. Appena finisce l’emergenza Covid e la vita ritorna a scorrere normalmente, gli offrirò una bella cena per cercare di farmi perdonare (sperando che basti…).
Mentre riflettevo su questo mio clamoroso errore, ho iniziato a pensare che il Covid modificherà non solo come sarà erogata la didattica in Università, ma l’Università stessa. A Firenze si prevede che ogni lezione sarà registrata e mandata in streaming. Che succederà? Il primo giorno di lezioni ci saranno presenti in aula un bel po’ di studenti curiosi di vedere la faccia del Professore. Dopo qualche giorno, il numero si studenti presenti scemerà sempre più. Dopo un po’, se il Professore non sarà in grado di ammaliare la classe, di dare valore aggiunto, si ritroverà a insegnare senza studenti solo di fronte a una telecamera. Se il corso è uno di quelli consolidati, cioè che il programma è uguale di anno in anno, gli uffici del personale si chiederanno dopo un po’ di tempo perché il Professore debba ripetere ogni anno lo stesso corso. Basterebbe trasmettere il corso registrato qualche anno prima… E se ci sono più corsi in parallelo, visto che gli studenti rimangono a casa e non seguono in presenza, perché mai impegnare tanti professori? Ne basterebbe solo uno… anzi, per dirla come Highlander, di prof ne sopravviverà uno solo… E’ ovvio che questo implicherà una didattica diversa, più coinvolgente ed, inoltre, noi prof saremo giudicati non più solo dalle carte prodotte ma anche dalla capacità di fare una didattica intrigante ed interessante.
Ma se gli studenti rimangono a casa a seguire i corsi e a fare esami, perché mai non dovrebbero iscriversi ad Università, magari lontane migliaia di km, ma che offrano maggiori prospettive? E’ chiaro che le Università si dovranno sforzare di dare un motivo sensato allo studente per lasciare la propria città e per passare un po’ di anni della sua vita in una sede universitaria. Concretamente penso a strutture sportive, ad eventi organizzati per spingere al networking in modo da far creare agli studenti conoscenze interfacoltà che saranno la base di un circolo di amicizie probabilmente fondamentale per la loro vita sociale e lavorativa, ad eventi culturali, sportivi, musicali, perfino culinari, che stimolino la creatività degli studenti, etc etc. Ma anche la città universitaria dovrà cambiare. Non dovrà più mostrare la faccia terribile degli affittuari che campano sulla necessità dello studente di avere una stanza, ma dovrà contribuire a rendere il più interessante e stimolante possibile la vita dello studente quadratico medio. Insomma il Covid 19 ci ha finalmente aperto gli occhi: i progressi tecnologici hanno reso obsoleto non solo il vecchio modo di fare didattica ma anche l’attuale paradigma universitario. Avremo la forza di cambiare o saremo vittime della filosofia verghiana dell’ostrica, ossia saremo attaccati fino alla morte (e all’estinzione del nostro Paese) alle vecchie idee che forse andavano pure bene per la società di 50 anni fa, ma non di certo adesso?