Il Tfr che Calenda ha chiesto al ministero

di neXtQuotidiano

Pubblicato il 2019-03-07

L’ex ministro prima di lasciare ha chiesto 40mila euro di indennità di fine rapporto. Ma la Ragioneria dello Stato gli ha risposto picche

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Il Fatto Quotidiano racconta oggi in un articolo a firma di Lorenzo Vendemiale una storia curiosa che riguarda Carlo Calenda. L’ex ministro dello Sviluppo ha provato a chiedere il trattamento di fine rapporto dopo la fine dell’incarico al ministero, ma la Ragioneria dello Stato gli ha risposto picche:

Siamo ad aprile 2018, un mese dopo le elezioni politiche, in piene consultazioni per la formazione del nuovo governo: nei vari ministeri i rappresentanti del vecchio esecutivo Gentilonicominciano a fare gli scatoloni. E dal Mise parte una strana richiesta, che quando è arrivata a via XX settembre lascia di stucco i tecnici della Ragioneria: Calenda chiede la “corresponsione” dell’indennità di fine mandato per le cariche da lui ricoperte al dicastero.

Prima sottosegretario e viceministro dei governi Letta e Renzi da maggio 2013 a marzo 2016, quindi una brevissima parentesi di un paio di mesi a Bruxelles come rappresentante permanente Ue dell’Italia, per poi tornare a Roma, stavolta proprio come ministro, di nuovo per Renzi e infine per Gentiloni. Praticamente l’intero arco della legislatura.

Secondo la normativa di riferimento, il Tfr viene calcolato sulla base dell’indennità parlamentare: per ogni anno di mandato, si ha diritto all’80% del lordo mensile che ammonta a 10.435 euro. Sono circa 9.400 euro: così al termine di una legislatura l’assegno arriva poco sopra i 40 mila euro. È più o meno la cifra che avrebbe voluto Calenda.

C’è un problema, però: lui era un ministronon parlamentare,per cui l’ordinamento non prevede il Tfr:

I membri del governo extraparlamentari prendono un’indennità, circa 9.500 euro lordi al mese. Dal 2000 è stata estesa anche a loro la diaria parlamentare (altri3.500 euro netti), come rimborso delle spese sostenute nella Capitale. Non c’è però l’assegno di fine mandato. Anche perché loro non versano nulla, a differenza dei parlamentari a cui ogni mese viene trattenuta una quota dell’indennità(784 euro per i deputati, 699 per i senatori), come contributo per il trattamento di fine rapporto.

Ed è proprio quello che gli ha risposto la Ragioneria dello Stato: per legge il Tfr non gli spetta. Non solo: riconoscerglielo avrebbe significato creare un onere per lo Stato sprovvisto di copertura, visto che lui non ha mai lasciato un centesimo della sua indennità nell’apposito fondo.

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