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Boris Johnson: il bugiardo patologico che non sa quello che vuole (a parte fregare gli elettori)

di Giovanni Drogo

Pubblicato il 2016-06-28

Quando era Cameron a volerla era contro la Brexit. Ora che ha vinto il referendum dice che non c’è fretta ad uscire. Dalla bufala dei soldi al NHS alle balle inventate quando era corrispondente a Bruxelles per il Telegraph, una piccola storia di tante pericolose bugie che sono servite al Leave

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Ogni giorno che passa gli inglesi scoprono che i politici che li hanno convinti a votare per la Brexit sono dei bugiardi. Non che questo cambi davvero qualcosa sul valore del referendum, perché non si può certo dire che i cittadini britannici siano stati raggirati e convinti con l’inganno a votare Leave. Chi ha votato per uscire dall’Unione Europea – o meglio da quella posizione privilegiata della quale gode il Regno Unito – lo ha fatto per un solo motivo: la paura di essere invasi dagli immigrati. Paura sulla quale hanno soffiato personaggi politici come Nigel Farage (che la vulgata dipinge già come un santo della lotta alle banche) e Boris Johnson.
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Non c’è fretta ad uscire dall’Unione

Tutto il resto, tutti gli argomenti utilizzati per convincere i sudditi di sua Maestà che la Brexit sarebbe stata cosa buona e giusta erano menzogne. Lo era la storia che i 350 milioni di sterline a settimana risparmiati sarebbero stati utilizzati per il NHS; lo era quella che sarebbero diminuiti gli immigrati e lo era quella che grazie alla Brexit le industrie britanniche – finalmente libere dalle assurde regole europee – avrebbero visto un’aumento della produttività e delle esportazioni. Perché per poter vendere sul mercato europeo i loro prodotti gli inglesi saranno costretti ad applicare la normativa europea. Gli inglesi però volevano maggiore sovranità e quindi Johnson e Farage gliel’hanno promessa, promettendo al tempo stesso una rivoluzione che avrebbe reso la Gran Bretagna “great again”. Domenica, tre giorni dopo la vittoria del Leave, però Boris Johnson si è affrettato a dire che tutti questi cambiamenti radicali annunciati nei mesi di campagna elettorale pro-Brexit non ci sarebbero stati. Non deve aver fatto un bell’effetto sentirsi dire che il Regno Unito sarebbe rimasto in Europa – il che è senza dubbio geograficamente vero – che la Sterlina non avrebbe subito sbalzi nelle quotazioni, che lunedì i mercati sarebbero stati al riparo dalle tempeste (due cose che puntualmente non si sono verificate) ma soprattutto i cittadini europei in UK non avrebbero avuto problemi a rimanere (ma come, non doveva risolvere il problema dell’immigrazione?). Johnson ha continuato a raccontare una favola dove il Regno Unito sarebbe rimasto all’interno dell’area di libero scambio (in caso di uscita non è così) e di come in sostanza nulla sarebbe cambiato se non un – piccolo – dettaglio: gli inglesi non dovranno più pagare nulla alla UE. Un sogno, una favola, gli stessi diritti di prima senza alcun dovere e soprattutto senza dover sottostare alle regole comunitarie! Come è possibile? Semplice: non è possibile. Il Regno Unito potrebbe negoziare un accordo come quello tra UE e Norvegia, un accordo che consente l’esenzione da alcune (non tutte) regole comunitarie e l’accesso al mercato libero europeo ma che prevede la libera circolazione delle persone (ovvero una delle cose che il referendum voleva abolire), il pagamento di contributi all’Unione e soprattutto nessun potere decisionale in merito ai regolamenti del mercato unico. Anche la Svizzera ha negoziato un accordo simile, seppur più “morbido” di quello norvegese ma la sostanza delle cose non cambia. L’alternativa sarebbe quella di siglare un accordo solo sugli scambi commerciali come quello negoziato con il Canada (CETA), accordo che però ha richiesto sette anni di trattative e che potrebbe non garantire alla City il passaporto finanziario europeo. Insomma, non è vero che tra UK e UE tutto rimarrebbe uguale. Anche perché a quel punto perché chiedere la Brexit?
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Le più belle bugie di Boris Johnson

Ma il punto riguardante Johnson è che, forse più di Farage, è un bugiardo patologico. L’Idependent ha ripercorso le più importanti balle della carriera di Johnson, a partire da quando nel 1988 venne licenziato dal Times per essersi inventato di sana pianta un virgolettato. La prima di una lunga serie di bugie. Quando era corrispondente da Bruxelles per il Telegraph Johnson era solito attaccare l’Unione esagerando o inventando di sana pianta storie a proposito delle regole assurde inventate dai burocrati della Comunità Europea. Chi ha inventato quel genere di giornalismo? Secondo Martin Fletcher sono stati proprio gli articoli di Johnson a dare il La alla guerra dei giornali inglesi contro coloro che – nelle segrete stanze di Bruxelles – inventavano i bizantini regolamenti europei “sulle dimensioni dei cetrioli”.

Ma Johnson non ha solo inventato la narrazione anti-UE, da politico ha fatto (e disatteso) ben altre promesse. Quando fu eletto sindaco di Londra aveva dichiarato che avrebbe risolto il problema dei senza fissa dimora entro il 2012. Alla fine del suo mandato il numero dei senza tetto che dormivano per le strade della capitale inglese era raddoppiato. Nel 2008 Johnson aveva firmato una petizione per protestare contro la decisione dell’allora sindaco Ken Livingstone di chiudere quaranta biglietterie della metropolitana. Nessuno immaginava che poi Johnson, una volta al potere, le avrebbe chiuse tutte. Sempre a proposito dei servizi di trasporto pubblico Johnson avrebbe voluto ridurre il prezzo dei biglietti, ma alla fine il costo aumentò del 4,2%. Ma torniamo alla questione che più ci sta a cuore: la Brexit. Quando Cameron stava conducendo le trattative per negoziare nuovi accordi con la UE la posizione di Johnson era meno netta: stava aspettando di capire cosa avrebbe fatto Cameron per sostenere l’opposto. A proposito di un’eventuale uscita dall’Unione Johnson aveva scritto:

leaving would cause at least some business uncertainty, while embroiling the Government for several years in a fiddly process of negotiating new arrangements, so diverting energy from the real problems of this country – low skills, low social mobility, low investment etc – that have nothing to do with Europe.

Ma Johnson era stato ancora più netto in un’intervista allo Spiegel dell’agosto 2015 dove aveva dichiarato sic et simpliciter: non possiamo lasciare l’Europa, facciamo parte del Continente. Il punto è che Johnson, così come altri giornalisti prestati alla politica che hanno avuto fortuna nel Bel Paese, è uno che ha la memoria corta e ama spararle grosse. E quando lo fa non si preoccupa che quello che dice sia vero, falso o verosimile, perché quando lo fa non è solito portare cifre e dati a sostegno delle sue tesi ma solo racconti e aneddoti. Ed è grazie a racconti fantasiosi e ad una narrativa che spingeva sulla paura dello straniero e sulla voglia di essere padroni a casa propria che Johnson è riuscito a vincere la sfida del referendum perdendo però probabilmente tutto il resto, come si può notare dalla frettolosa marcia indietro del day after the brexit.

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