Come funziona la nuova legge sul biotestamento

di Giovanni Drogo

Pubblicato il 2017-12-14

Con buona pace di coloro che ritengono che il corpo umano non sia di proprietà del singolo e che nessuno possa decidere quando un trattamento sanitario è “eccessivo” oggi la legge sul Biotestamento che introduce le Disposizioni anticipate di trattamento è stata approvata in via definitiva. Ecco come funzionerà

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Il Senato ha licenziato in via definitiva la legge sul biotestamento. Le “Norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento” sono state approvate da Palazzo Madama con 180 sì, 71 voti contrari e sei astenuti. L’approvazione del provvedimento è stata possibile grazie all’intesa raggiunta tra PD e M5S. Paolo Gentiloni ha parlato di «Una scelta di civiltà. Un passo avanti per la dignità della persona» e su Twitter Roberto Fico ha ringraziato tutti coloro che hanno reso possibile raggiungere questo risultato: «È una giornata storica, una giornata che il nostro Paese aspettava da anni».

Cosa prevede la legge sul biotestamento

Di diversa opinione sono gli esponenti del Centrodestra che parlano di “via italiana all’eutanasia” e per voce di Gaetano Quagliariello annunciano che durante la prossima legislatura «la nuova maggioranza metterà immediatamente riparo alle tre grandi storture di questo testo». La legge era stata approvata dalla Camera lo scorso 20 aprile prevede la possibilità di sottoscrivere le Dat, ovvero le Disposizioni anticipate di trattamento, con la previsione di poter rinunciare anche all’idratazione e alla nutrizione artificiale.
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L’articolo 3 del testo prevede che “ogni persona maggiorenne, capace di intendere e volere, in previsione di una eventuale futura incapacità di autodeterminarsi, può, attraverso Disposizioni anticipate di trattamento, esprimere le proprie convinzioni e preferenze in materia di trattamenti sanitari, nonché il consenso o il rifiuto rispetto a scelte diagnostiche o terapeutiche e a singoli trattamenti sanitari, comprese le pratiche di nutrizione e idratazione artificiali“. Essendo una legge dello Stato deve essere applicata anche dalle cliniche e strutture sanitarie cattoliche convenzionate.

Quali sono i punti chiave della legge contro l’accanimento terapeutico

Il provvedimento si fonda su sette pilastri fondamentali. Il primo, dal momento che la legge tutela il diritto alla vita, alla salute, ma anche il diritto alla dignità e all’autodeterminazione è il consenso informato. Il ragionamento è che nessun trattamento sanitario può essere iniziato o proseguito senza il consenso del paziente. Questo però non significa che la persona interessata debba decidere in completa solitudine, anzi nella relazione di cura oltre al paziente, al medico e all’equipe medica “sono coinvolti se il paziente lo desidera, anche i suoi familiari e conviventi o compagni”. La volontà espressa dal paziente potrà in ogni caso essere sempre modificata. Nel caso di minori e persone incapaci il consenso informato è espresso dai genitori esercenti la responsabilità genitoriale o dal tutore o dall’amministratore di sostegno, tenuto conto della volontà della persona minore di eta’ o legalmente incapace o sottoposta ad amministrazione di sostegno.

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Infografica di AdnKronos

Un altro aspetto fondamentale è quello che riguarda la nutrizione e l’idratazione artificiale. Sarà ora possibile per il paziente revocare il consenso anche nel caso in cui comporti l’interruzione del trattamento, comprese la nutrizione e l’idratazione artificiali ai quali viene riconosciuto il fatto di essere un dispositivo di cura. Dal momento che si tratta di trattamenti che consistono nella somministrazione su prescrizione medica di nutrienti mediante dispositivi sanitari il legislatore riconosce al paziente la possibilità di rifiutarli. La legge infatti sancisce il divieto di accanimento terapeutico riconoscendo il diritto del paziente all’abbandono terapeutico e garantendo la terapia del dolore fino alla sedazione profonda continuata.
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Il medico è tenuto a rispettare la volontà espressa del paziente e per questo motivo è esente da responsabilità civile o penale qualora il paziente rifiutasse o rinunciasse il trattamento sanitario. In ogni caso il paziente non può chiedere al medico trattamenti sanitari contrari a norme di legge, alla deontologia professionale e alla buone pratiche clinico-assistenziali. Durante il passaggio alla Camera è stata introdotta una norma sul fatto che “il medico non ha obblighi professionali” che introduce (in modo non esplicito) il diritto all’obiezione di coscienza.

Cosa sono le Disposizioni anticipate di trattamento

Il punto centrale della legge sono le DAT – che saranno inserite all’interno di registri regionali – e che devono essere redatte in forma scritta (o videoregistrate a seconda delle condizioni del paziente) e vincolano il medico che è tenuto a rispettarne il contenuto.L’articolo 3 spiega che «le DAT devono essere redatte per atto pubblico o per scrittura privata, con sottoscrizione autenticata dal notaio o da altro pubblico ufficiale o da un medico dipendente del Servizio sanitario nazionale o convenzionato. Nel caso in cui le condizioni fisiche del paziente non lo consentano, possono essere espresse attraverso videoregistrazione». Allo stesso tempo però le Dichiarazioni anticipate di trattamento possono essere disattese qualora appaiano palesemente incongrue o le condizioni nel frattempo siano mutate e se siano sopraggiunte nuove terapie non prevedibili al momento della loro compilazione.


Le DAT possono essere revocate in qualsiasi momento. In caso di emergenza la revoca può avvenire anche oralmente davanti ad almeno due testimoni. Non esiste però il registro nazionale delle dichiarazioni anticipate di trattamento. La mancanza di un registro che sia operativo 24 ore su 24 e che possa essere accessibile dal personale sanitario è uno dei più grandi limiti di questa legge. Come detto inoltre il paziente non verrà lasciato solo e per questo la legge prevede la pianificazione condivisa delle cure. Questo è un passaggio importante soprattutto per le malattie croniche e invalidati il cui decorso si protrae nel tempo e la cui prognosi è spesso infausta per il paziente. L’obiettivo è quello di garantire la massima qualità della vita possibile alla persona ai malati terminali consentendo loro di abbandonare il trattamento e l’accanimento terapeutico.
 

Come cambia il rapporto medico-paziente alla luce del Ddl sul biotestamento

La legge prende atto di una cosa fondamentale: la medicina è cambiata e con essa sono cambiate le relazioni di cura e le possibilità di estendere la vita, ben oltre quello che per alcuni (non per tutti, non c’è nessun obbligo a rinunciare alle cure) il sopportabile. La legge sul biotestamento prevede che il medico (ma forse sarebbe opportuno iniziare a parlare di equipe) sia  tenuto “a rispettare la volontà espressa dal paziente” mentre d’altra parte il paziente “non può esigere dal medico trattamenti sanitari contrari a norme di legge, alla deontologia professionale e alla buone pratiche clinico-assistenziali“; una frase che dovrebbe far capire che quella dell’eutanasia mascherata è solo un’argomentazione pretestuosa. Il medico in ogni caso potrà rifiutarsi di ottemperare alle decisioni esplicitamente dichiarate nelle Dat e invocare l’obiezione di coscienza onde evitare che però accada come per la legge 194 il Ddl sul testamento biologico prevede che un altro medico della stessa struttura debba intervenire e prendere il posto del medico curante per dare corso alle disposizioni del paziente. Questa regola vale anche per le cliniche private e gli istituti di cura religiosi che non potranno chiedere di essere “esentati”.

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A favore della legittima difesa, contro il biotestamento. Il paradigma della destra italiana

Quello tra medico curante e malato è un rapporto complesso che non può essere normato con cinque articoli di una legge che probabilmente finirà per indicare più la direzione del percorso da intraprendere che a condizionare pesantemente l’attività clinica. Certo, ci saranno sempre medici totalmente indisponibili a considerare anche il benché minimo sussulto dell’individualità del paziente come ad esempio Paolo Maria Rossini (ordinario di Neurologia all’Università Cattolica e direttore dell’Area Neuroscienze della Fondazione Policlinico Gemelli) che al Corriere della Sera il giorno dell’approvazione alla Camera dichiarò senza mezzi termini che «Il corpo umano non è proprietà del singolo, che ne può quindi disporre a piacer suo. Il corpo umano appartiene a Dio e io per questo motivo cercherò sempre di salvarlo, finché è possibile». Altri medici parlano della “fine del rapporto medico paziente” e di una legge che scardina secoli di storia della Medicina riducendo il medico ad un mero esecutore delle volontà del paziente. Una visione apocalittica del futuro della medicina che prevede anche che i medici saranno costretti a dotarsi di avvocati per difendersi dalle pretese di pazienti e familiari e dalle cause. Peccato però che la medicina difensiva – ovvero quell’insieme di pratiche con il quale il medico si difende da eventuali azioni legali – sia già una realtà anche senza bisogno di tirare in ballo il biotestamento. Inoltre il paziente già ora può scegliere quali cure sono più appropriate secondo le proprie convinzioni e già ora il medico è tenuto a curare il paziente secondo le buone pratiche cliniche.


Nei casi più delicati inoltre il medico non prende da solo le decisioni, non è abbandonato a sé stesso: in parte perché lavora con un equipe dove ogni professionista ha la sua sensibilità in parte perché può appoggiarsi al parere del Comitato di biotetica della struttura sanitaria. Il biotestamento introduce semplicemente la possibilità per un malato di far sentire la propria voce nel momento in cui a causa della malattia (o di un incidente) non avrà più la possibilità di farla sentire. Perché deve essere un giudice, Dio (una pretesa ridicola in una società multiculturale dove non c’è un solo dio) o un medico a decidere che la mia vita deve continuare ad essere vissuta in una maniera che considero inaccettabile soprattutto quando non ho speranze di guarigione? Questa è la domanda alla base della richiesta di poter sospendere il trattamento terapeutico e non mette in nessun modo in discussione la possibilità del medico di “fare il medico” ma tiene conto della possibilità del paziente di dare una definizione di senso del suo corpo, della sua malattia e della sua vita che va oltre l’immagine che viene restituita al medico dai test, dalle diagnosi e dalla cartella clinica.
 

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