Le banche più costose d’Europa

di neXtQuotidiano

Pubblicato il 2019-01-13

L’Authority europea sui mercati fotografa il settore: il prezzo dei prodotti italiani è superiore alla media Ue Nel 2018 primo anno di flessione dei flussi netti in entrata dal 2013 e di contrazione del patrimonio totale dal 2011

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Se mettamo insieme i costi dei salvataggi e quelli dei conti correnti le banche italiane sono di certo le più costose d’Europa. Spiega oggi Il Sole 24 Ore che il nodo delle commissioni è sotto gli occhi di tutti, per i fondi comuni in generale e nello specifico per i Pir che hanno vissuto una stagione di riflusso dopo il boom del 2017, ma è stato rimesso in evidenza dal primo rapporto annuale che mette a confronto costi e performance del risparmio gestito in Europa pubblicato due giorni fa da Esma.

L’immagine dell’Italia non esce infatti particolarmente bene dal quadro dipinto dall’authority europea di sorveglianza dei mercati finanziari: il prezzo dei prodotti è superiore alla media continentale e soprattutto incide in maggior misura sulle performance finali. Prendendo per esempio il decennio 2008-2017, nel complesso favorevole all’intero mondo degli investimenti, i costi degli strumenti azionari venduti alla clientela retail in Italia (incluse le commissioni di sottoscrizione e riscatto) hanno infatti impattato per il 37% sulle performance lorde quando la media europea si è fermata ad appena il 24 per cento. Solo Spagna e Austria restano su livelli simili, mentre il nostro Paese primeggia purtroppo nel caso dei fondi obbligazionari (33,5% contro una media del 27%) che poi sono di gran lunga i più acquistati dai clienti con una quota del 30% dell’ammontare complessivo.

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Il confronto europeo su costi e rendimenti dei fondi (Il Sole 24 Ore, 13 gennaio 2019)

E questo influisce sulla raccolta. Le anticipazioni fornite questa settimana dalle cinque società quotate a Piazza Affari del settore confermano la tendenza: tranne FinecoBank (in aumento del 4%), Azimut, Banca Generali e Mediolanum hanno subito quest’anno riduzioni della raccolta netta comprese fra il 23% e il 35% rispetto a un 2017 che a onor del vero aveva rappresentato un’eccezione in positivo, mentre se si escludono le gestioni assicurative Anima ha più che dimezzato gli afflussi negli ultimi dodici mesi.

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