Il futuro di Tsipras e della Grecia

di Faber Fabbris

Pubblicato il 2018-06-25

La fine del programma di assistenza al 18 agosto prossimo lascia a Syriza un anno di tempo prima delle elezioni. Il suo compito è difficile se non impossibile. Ma se vincerà avrà fatto bene a tutta l’Europa

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L’Eurogruppo del 21 giugno è stato forse il più importante di una lunga, estenuante, mortifera guerra di posizione tra il governo Tsipras e il fronte conservatore-neoliberista della maggior parte d’Europa. Una battaglia cominciata con le elezioni del gennaio 2015, e che è arrivata fino ai limiti della rottura fra Grecia ed Eurozona. Una trappola nella quale a molti avrebbe fatto comodo far cadere la Grecia (e per la quale Schauble di è esplicitamente speso), ma che non ha funzionato.

Il futuro di Tsipras e della Grecia

Come siano andate le cose è storia nota: il referendum del luglio 2015; l’accordo -pesantissimo- di poco successivo; la rottura interna a Syriza; le nuove consultazioni del settembre seguente. Tutto ciò fra tensioni internazionali e militari fortissime, delle quali il disastro siriano, la drammatica involuzione turca, la vicenda dei profughi (con la Grecia in prima linea) sono solo i fattori più acuti. Tsipras ha cercato dunque di sopravvivere, stretto tra esigenze feroci dei creditori, e necessità di scartare dalla rotta dell’ “austerità espansiva”; per di più in un isolamento politico pressoché totale (che bene ha fatto a ricordare Alfonso Gianni sul manifesto).

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Ebbene, malgrado questo quadro più che complesso, Tsipras è riuscito innanzitutto a tenere la posizione, mantenendo sostanzialmente intatte le sue forze parlamentari. Operazione non facile, alla luce dei pesanti limiti imposti dall’accordo. Ai quali però il leader di Syriza è riuscito a contrapporre, nei piccoli cunei dei margini di manovra disponibili, misure di emergenza sociale, certo parziali, ma di chiara lettura per i cittadini greci. Se le scelte di Tsipras sono state criticate con asprezza e da diverse angolature, ma soprattutto “da sinistra”, il bilancio globale dopo 3 anni e mezzo di governo definisce in maniera più obbiettiva il cambiamento di tendenza.

L’addio alla Troika

La disoccupazione, al 26% al momento dell’elezione di Tsipras, è scesa al 20% (primo trimestre 2018); il PIL, dopo un tracollo di circa il 25% sul periodo 2008-2015, è ritornato a crescere (è del +2,5% annuo sul primo trimestre 2018); la bilancia commerciale registra un timido miglioramento (anche se resta in territorio negativo). Il debito pubblico è stabilizzato attorno al 180% del PIL (nonostante i mantra nostrani, e le ipotesi sbagliate di Reinhardt e Rogoff, ricordiamo che il Giappone vive benissimo con un debito/PIL di oltre il 240%). Non si tratta certo di una fase di espansione, ma una tonalità diversa è indubbiamente percepibile.

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L’accordo del 21 giugno è stato l’atto di conclusione del programma di “assistenza” della Troika, che sborsa l’ultima fetta di aiuti, e pone un termine alla logica del pretending and extending (nuovi prestiti in cambio di nuove misure). Atene è riuscita anche a strappare concessioni importanti sul debito. Vediamo più in dettaglio i termini dell’accordo. Innanzitutto si stipula la fine del programma di assistenza al 18 agosto prossimo; fine dell’assistenza finanziaria, e fine della legislazione concertata con BCE, Fondo Salva Stati (ESM), Commissione ed FMI. Quest’ultimo esce del resto di scena (era già in posizione d’attesa); la conseguenza è un atteggiamento meno severo sull’austerità di bilancio, ma anche l’addio ad un taglio nominale del debito (o altre misure sostanzialmente equivalenti).

Il compromesso sul debito

Sul debito si è raggiunta una posizione di compromesso, che se non equivale ad un taglio, permette un allargamento consistente dei margini di manovra della Grecia. Viene aumentato di 10 anni il ‘periodo di grazia’ per il pagamento del debito dell’EFSF, cioè nessun rimborso di capitale o di interessi fino al 2032. Viene inoltre allungata la maturità dei titoli del prestito EFSF (per un montante di circa 100 miliardi di euro) di dieci anni in media; ciò vuol dire che le scadenze si allungano da 22 a 32 anni. Si considera anche che il ritmo dei rimborsi possa essere adeguato alle capacità di crescita dell’economia greca (senza fissare tuttavia automatismi).

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I numeri della Grecia (Corriere della Sera, 10 maggio 2016)

È stato anche convenuto che alla Grecia vengano restituiti 4,8 miliardi di euro (in fette di 1,2 mld per quattro anni, e nel rispetto degli obbiettivi di bilancio) che la BCE e le banche centrali europee avevano guadagnato sui buoni del tesoro greci (nel quadro del programma Securities Market Program); situazione quasi beffarda, che aveva portato la Germania a ‘mettere da parte’ 2,9 miliardi di euro grazie alla crisi greca, come recentemente emerso grazie ad una interrogazione parlamentare dei verdi al Bundestag.

L’avanzo primario

L’ultimo versamento di 15 miliardi di euro, corrispondente alla chiusura del programma, permetterà alla Grecia di disporre (assieme ad altri fondi) di un consistente ‘cuscinetto’ per finanziarsi anche senza tornare sui mercati, fino almeno all’estate 2020. Per quanto riguarda gli obbiettivi di bilancio, l’avanzo primario (come convenuto già nello scorso febbraio) è fissato a 3,5% per i prossimi 5 anni; non si precisano obbiettivi successivi a questa data, anche se si indica un bersaglio generico dell’ordine del 2,2%.

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L’infografica sul piano per la Grecia (La Stampa, 14 luglio 2015)

Cosa significano queste cifre? La fine del programma – anche se assortita con raccomandazioni sul prosieguo delle riforme avviate, e nel quadro di ‘verifiche’ trimestrali- lascia a Tsipras un margine di manovra più ampio per politiche economiche espansive, e più vicine ai propri obbiettivi politici. In altre parole, purché il 3,5% di avanzo primario sia rispettato, Atene avrà mano più libera dal 20 agosto prossimo. Anche perché l’accordo prevede -su richiesta del governo greco- che al rimborso del debito non possa essere destinato più del 15% del PIL fino al 2042, e non più del 20% in seguito.

Un ultimo anno

Insomma, al governo Syriza resta circa un anno, fino alle elezioni dell’ottobre 2019, per mettere in pratica politiche di sostegno alla domanda, di protezione delle fasce deboli della popolazione, di investimento. Fra gli obbiettivi di politica economica citati nel documento finale dell’eurogruppo il ritorno della contrattazione collettiva e l’aumento del salario minimo. Probabilmente Tsipras si tiene anche qualche altro asso nella manica, per dimostrare al proprio elettorato che è rimasto fedele agli impegni e agli orientamenti che hanno determinato il successo di Syriza; egli è ben cosciente che molto resta da fare per ridare dignità e speranza a molti greci, che la crisi l’hanno pagata fino in fondo. La partita è stretta e difficile, ma come il primo ministro greco ha dichiarato: “continuerò a dare battaglia, perché il popolo greco deve vincere ancora molte grandi battaglie. Dobbiamo saperlo: abbiamo vinto una battaglia, ma non la guerra. La guerra continua fuori da queste mura: ci sono ancora concittadini che hanno bisogno di sostegno, che hanno bisogno delle nostre lotte, delle nostre battaglie; esistono ingiustizie che dobbiamo correggere, e non ci daremo pace finché non riusciremo a correggerle”.

Falchi e colombe al tavolo della trattativa sulla Grecia (Repubblica, 13 luglio 2015)

Proprio da queste pagine, tempo fa, scrivevamo che Tsipras, pecora nera del consesso europeo, rimaneva al suo posto dopo la caduta dei più ubbidienti alfieri del pensiero unico economico: Cameron, Hollande, Valls, Renzi. A questa lista si aggiunge oggi Mariano Rajoy, sostituito dal socialista Sanchez che ha l’appoggio di Podemos; il governo spagnolo rappresenta un nuovo ed importante alleato politico per la Grecia. Se pure fra confuse tendenze e singulti reazionari (si veda la nostra penisola), uno spazio di speranza si mantiene insomma aperto. Se le forze più torbide e conservatrici ne usciranno ridimensionate, allora Tsipras avrà fatto un gran bene non solo alla Grecia, ma all’Europa tutta intera.

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