A Palermo dopo tanti anni

di Vincenzo Vespri

Pubblicato il 2018-09-05

C’ero stato agli inizi anni 90. Questioni amorose. Avevo una ragazza siciliana. Avevo preso una mansarda in Piazza Marina. All’epoca il centro era ancora in degrado. La chiesa dello Spasimo appena ricostruita. Per entrare nel palazzo si dovevano superare due signorine che esercitavano un antico mestiere e svolgevano, de facto, il lavoro di portinaie (sempre …

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C’ero stato agli inizi anni 90. Questioni amorose. Avevo una ragazza siciliana. Avevo preso una mansarda in Piazza Marina. All’epoca il centro era ancora in degrado. La chiesa dello Spasimo appena ricostruita. Per entrare nel palazzo si dovevano superare due signorine che esercitavano un antico mestiere e svolgevano, de facto, il lavoro di portinaie (sempre informate su tutti coloro che entravano). Il centro pieno di palazzi bellissimi e signorili (la Sicilia era pur sempre un viceregno!) ma maltenuti e abitati da una popolazione povera che niente aveva a che spartire con gli antichi fasti. Negozi, con insegne oscene, deturpavano l’architettura pomposa spagnoleggiante.

Il parco di Piazza Marina, era una selva impraticabile dove i maestosi ficus (io li chiamavo i miei baobab) emergevano in un parco frequentato da tossici. La sera vigeva il coprifuoco: nessuna ragazza usciva se non debitamente accompagnata. Il centro storico si era ridotto a queste misere condizioni perché i vari Sindaci della Palermo ruggente (per la mafia) lo avevano lasciato senza servizi e avevano spinto gli abitanti a vivere in nuovi squallidi quartieri dormitorio costruiti da famiglie di palazzinari secondo i canoni più orridi della edilizia popolare targata anni 60-70. Palermo era (come lo è adesso) una città di lavoratori dipendenti: famiglia generalmente monoreddito. Non era importante il lavoro che il babbo faceva o come lo avesse avuto, l’importante era averlo. L’assistenzialismo alla base di questo sistema ammorbava tutti gli aspetti della vita civile. L’università non faceva eccezione ed era piena di famiglie che tramandavano cattedre da padre in figlio come fosse un titolo nobiliare.

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foto da wikimedia

La Palermo di adesso è tutta un’altra cosa. Il centro è ricostruito. Luogo sicuro e chic. Palazzi abitati da ricca borghesia si affiancano a palazzi ancora (ma non si sa fino a quando) abitati da ceti decisamente più popolari. Antichi luoghi pericolosi quali la Vucciria sono diventati luoghi d’incontro serale per la gioventù. Turisti invadono le strade (sicure) di Palermo ogni ora della notte. Gli alberghi e i ristoranti sono pieni. I negozi non deturpano più con le loro insegne la bellezza barocca dei palazzi storici. Si respira un’aria nuova. Di libertà. Di intraprendenza. I giovani non si accontentano di un lavoro comunque. L’assistenzialismo (anche se ancora rimpianto dalle vecchie generazioni) è ormai finito. L’Università è decisamente più competitiva di 30 anni fa.

Tutto bene? No. Il rinascimento palermitano non ha riguardato tutta la città nella sua interezza. Alcuni quartieri sono ancora come 30 anni fa. La città è ancora povera. La raccolta dell’immondizia non è ancora efficiente. Ma il problema più serio è quello dello spopolamento. I giovani più bravi non trovano un lavoro all’altezza delle loro aspettative ed emigrano. I paesi interni della Sicilia sono abitati praticamente solo da anziani. I giovani incominciano a scarseggiare perfino in una metropoli come Palermo. Come fare a fermare un depauperamento del territorio come questo? Secondo me, l’unico modo sarebbe quello d’investire in cultura e formazione.

Dare una ragione, un motivo ai giovani laureati e diplomati per rimanere a contatto con il territorio almeno un paio di anni dopo la laurea o il diploma tramite tirocini ed assegni di ricerca o similaria. Una parte se ne andrebbe via lo stesso dopo questa esperienza, ma molti altri rimarrebbero, dando il loro contributo alla rinascita della loro bellissima terra. Certo, si dovrebbe cambiare la politica dell’alta formazione attuale, che, grazie all’Anvur, con la logica di rubare al povero per dare al ricco (come faceva il mitico SuperCiuk di Alan Ford) sta desertificando il Meridione per dare risorse alle Università settentrionali. Ma lo capiranno finalmente i politici che la cultura e l’alta formazione sono una questione maledettamente seria da non prendere sotto gamba o da trattare come show televisivo? Con la Cultura non solo si mangia, ma si arresta anche il declino!

(foto di copertina da youtube)

 

*** Vincenzo Vespri è professore di matematica all’Università degli Studi di Firenze

Oltre ad essere un professore universitario  di Matematica che vede con sgomento l’università italiana andare sempre più alla deriva, sono anche un valutatore di progetti scientifici ed industriali (sia a livello italiano che europeo).

Vedere nuove idee, vedere imprese che nascono, vedere giovani imprenditori che per realizzare le proprie idee combattono fatiche di Sisifo contro il sistema paleo-burocratico  e sclerotizzato, è un’ esperienza tipo Blade Runner:

” Io ne ho viste cose che voi umani non potreste immaginarvi:
navi da combattimento in fiamme al largo dei bastioni di Orione,  
e ho visto i raggi B balenare nel buio vicino alle porte di Tannhäuser”.

 

Leggi sull’argomento: Vi racconto cosa ci succederà tra dieci anni se l’università non cambia”

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