Ex Ilva, Vendola: “La mia condanna? Un eco-mostro della giustizia penale”

di neXtQuotidiano

Pubblicato il 2021-06-01

I giudici della Corte d’Assise di Taranto hanno condannato l’allora Presidente della Regione Puglia a 3 anni e mezzo per l’accusa di concussione

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Le pene decise dalla Corte d’Assise di Taranto per il caso Ilva hanno provocato inevitabili reazioni. Oltre ai 22 e 20 anni di reclusione comminati nei confronti dei fratelli Riva (all’epoca dei fatti proprietari e amministratori dell’azienda), i giudici hanno condannato anche l’allora Presidente della Regione Puglia a 3 anni e 6 mesi per “concussione”. Nichi Vendola, all’indomani di questa sentenza, respinge (ancora una volta) le accuse sottolineando come non ci siano state prove documentali durante il processo per procedere con quell’ipotesi di reato e, di conseguenza, con quella condanna.

Vendola dopo la condanna per il caso Ilva: “Giustizia come eco-mostro”

“Siamo dinanzi a uno scempio, un vero eco-mostro della giustizia penale- ha detto Nichi Vendola nella sua intervista rilasciata a La Stampa -. La mia concussione, siccome non è in alcun modo provata, viene definita ‘implicita’. Il mio concusso nega di essere mai stato minacciato ed è allora un favoreggiatore”. L’ex governatore pugliese ribadisce, poi, quanto già detto ai giudici nel corso del procedimento penale che lo ha visto coinvolto e ha sottolineato come non ci siano prove della sua concussione e – tantomeno – non ci siano evidenze di quell’ammorbidimento da parte del direttore di Arpa nei confronti dell’impianto siderurgico, da decenni al centro di analisi per inquinamento (e tutte le conseguenze sanitarie che sono ben note).

Quei tre anni e mezzo di reclusione sentenziati nei confronti di Nichi Vendola, di fatto, hanno fatto più rumore dei 22 e 20 anni comminati a Fabio e Nicola Riva, ex proprietari e amministratori dell’Ilva di Taranto e figli dello storico patron Emilio morto nel 2014. Pene che derivano dalla somma dei reati a loro contestati nel corso di questo lungo processo che, però, ancora non è finito: concorso in associazione per delinquere finalizzata al disastro ambientale, all’avvelenamento di sostanze alimentari e alla omissione dolosa di cautele sui luoghi di lavoro.

(foto IPP / Vincenzo Bruni)

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