The Italian Lockdown – Cronache da un Paese in Quarantena: 7. Amor de Loca Juventud.

di Lorenzo Favella

Pubblicato il 2020-03-18

Mercoledì, 18 marzo 2020. La mail arrivava da un contatto sconosciuto. Era finita nella cartella di posta indesiderata e per fortuna non l’ho subito cancellata, come un qualsiasi spam. Spiderman mi scriveva da Cuba. Ciao Luciano, come stai, vecchio leone? Sempre a scrivere? Cosa hai messo in forno stavolta? Cosa ci cucini? In fondo, sei …

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Mercoledì, 18 marzo 2020.

La mail arrivava da un contatto sconosciuto. Era finita nella cartella di posta indesiderata e per fortuna non l’ho subito cancellata, come un qualsiasi spam.
Spiderman mi scriveva da Cuba.

Ciao Luciano,
come stai, vecchio leone?
Sempre a scrivere? Cosa hai messo in forno stavolta? Cosa ci cucini?
In fondo, sei fortunato, no? La tua vita non sarà cambiata più di tanto. Lavoravi da casa prima, lavorerai da casa adesso. Il lockdown ti fa un baffo!

Scusa se ti scrivo solo ora, ma qui non è sempre facile trovare una postazione internet che funziona. E scusami se non rispondevo alle tue domande, durante il viaggio che dalla California mi ha portato fin qui.
Ti pensavo e per questo ti mandavo le foto, tappa per tappa…

Sono stati giorni convulsi e non potevo nemmeno prevedere quali potessero essere le nostre decisioni. Dovevo discuterne con mia moglie, prima di tutto. E poi non ero davvero sicuro di cosa avremmo fatto.

Per certi versi, è stato tutto un concatenarsi di eventi inaspettati. Come sai, avevo chiesto un sabbatico all’Università dove lavoro, con l’idea di tornare almeno un anno in Italia, dove avevo già trovato un accordo per un corso a Tor Vergata, a Roma. Pensa, avremmo avuto un sacco di occasioni di vederci, come quando facevo il dottorato e mi avevi affittato una stanza a casa tua, quando abitavi a Piazza Vittorio… Quanto cazzo di anni sono passati, eh?

Purtroppo o per fortuna, chiossà, non è andata così. Quando lì da voi è esplosa sta faccenda del corona virus, a Roma mi hanno fatto sapere che stavano chiudendo l’Università e avrebbero dovuto ridiscutere tutto il piano accademico. Insomma, non c’era più alcuna certezza che potessi lavorare, anche solo via computer, da Los Angeles. Così, visto che non avevo rinnovato l’affitto di casa e avevo ormai svuotato tutto, ho pensato anzitutto di prendermi una vacanza. On the road, come ai vecchi tempi.

L’idea era di andare a rivedere la Monument Valley, farsi un’escursione fino in fondo al Grand Canyon e poi decidere, giorno per giorno.
A Mexican Hat, dove mi ricordavo della tua storia sul Navajo Taco, identico al gnocco fritto nostrano – incredibile! – ho ricevuto un messaggio di Francisco, un collega cubano che mi è capitato di conoscere durante un convegno a Città del Messico, alcuni anni fa. E’ quello della foto che ti ho mandato.
Era in Florida, grazie a uno speciale permesso o qualcosa del genere, per il funerale di sua nonna. Parte della sua famiglia si è trasferita là, da anni ormai, e i contatti non si sono mai interrotti. Anche perché, è grazie alle donazioni delle famiglie di espatriati, che molti Cubani riescono a tirare avanti nel loro Paese. Ci sei stato, no? Anch’io, alcuni fa.

coronavirus cuba
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Ma non divaghiamo. La Florida è un po’ lontanuccia per farsela tutta in macchina dalla West Coast. L’avessi saputo prima, avremmo sicuramente prenotato un volo, ma ormai eravamo in viaggio. Avevamo deciso di arrivare fino a New Orleans, come in Easy Rider! Su quattro ruote però! Ahaha.

Me ne hai parlato così tante volte, di quella città, che mi era venuto voglia di vederla. Solo che alla fine ci siamo fermati una notte sola e non abbiamo avuto tempo di visitarla come si deve. Appena trovato un hotel nella zona di Algiers, sull’altra sponda del Mississippi, da dove si prende il Ferry per andare al French Quarter, abbiamo saputo che Trump aveva chiuso tutti i voli per l’Europa. Tu mi dirai, che c’entra?
C’entra, perché in realtà pensavamo di concludere il nostro viaggio, vendere la macchina e poi andare in Italia per Pasqua, che i genitori di Iris cominciano ad essere anziani e ci tengono a queste cose.
Ora però chissà quando mai riusciremo a tornare in Italia. Abbiamo pensato che magari, passando per il Messico o il Canada, forse si trovava il modo, ma il rischio è di buttare via i soldi, perché ormai l’Italia è su tutti i notiziari del mondo e davvero non c’è alcuna certezza di poterla raggiungere, da qualsiasi Paese tu parta. I prezzi dei voli sono diventati astronomici e di questo passo mi sa che presto tutte le frontiere verranno sigillate.
Insomma, eravamo lì che ci chiedevamo cosa fare quando mi è arrivata una telefonata di Francisco. Gli ho spiegato la situazione e lui se n’è uscito con una proposta davvero inaspettata. “Vieni a Cuba!” mi ha detto. “Organizzo tutto io.”

Lì per lì, ho pensato a uno scherzo, ma poi lui mi ha mandato una serie di messaggi, prospettandomi anche una qualche possibilità di lavoro da quelle parti e insomma… Ho cominciato a parlarne con Iris, ero convinto che mi avrebbe detto di no, e invece l’idea non le è dispiaciuta.
A quel punto, era importante arrivare in Florida il prima possibile, prima che Francisco rientrasse all’Avana, in modo da capire bene come stavano le cose, parlandoci dritto negli occhi. Anche solo per capire come arrivarci, a Cuba.
Nonostante l’embargo degli Stati Uniti, so che ci sono dei voli adesso, con la Delta, ma credo ci sia bisogno di tutta una serie di permessi e… Vabbè, per farla breve, siamo arrivati in Florida. Al massimo, ci siamo detti, andremo a farci qualche bagno in spiaggia.

Ora, per precauzione, non credo sia il caso di entrare nei dettagli, ma… Mi sono fidato di Francisco e diciamo che non c’è stato bisogno di prendere un volo per arrivare qui. Con la scusa di un fishing trip con il battello di un suo cugino, sempre che fosse suo cugino… Got it? Ahaha.

Che storia, eh? Me l’avessero detto anche solo una settimana fa, non ci avrei creduto nemmeno io. Comunque è andato tutto bene e in questo momento siamo a Trinidad. E’ un villaggio coloniale, davvero incantevole, in cima a una collina, a qualche ora di macchina dall’Avana. Di giorno, prendiamo dei mototaxi che sembrano ape car, scendiamo giù alla spiaggia, facciamo bagni e mangiamo pesce. Que viva cuba! Ahaha.

Credo che passeremo qualche giorno qua, poi vediamo cosa salta fuori. Lo sai come sono fatto io, senza lavoro non ci so stare. E Francisco, come mi aveva promesso, sta organizzando tutto. Ha le sue belle conoscenze, sia a livello accademico che governativo. Il permesso di soggiorno è una questione di giorni. Poi, credo che finiremo all’Avana o a Santiago.

Ci troveranno un alloggio, che immagino semplice, spero almeno sia una casetta con giardino, e per il resto mi darò da fare. Qui sono encomiabili, hanno una struttura sanitaria davvero ammirevole, nonostante le ristrettezze in cui si trovano a lavorare.

E poi, in tutto questo, sai che c’è? Vediamo cosa porterà in dote, il futuro. Questa pandemia non è uno scherzo. E davvero non so cosa potrà succedere negli States, dove hanno un sistema sanitario che fa ridere, con tanta, troppa gente esclusa dalle coperture assicurative. Certo, potranno sempre dichiarare una sorta di stato di Guerra e prendere chissà quali provvedimenti, ma davvero non so come ci salteranno fuori. Dovrebbero segregare fasce intere della popolazione, per evitare i contagi di chi non ha i mezzi per curarsi. Te lo immagini?

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Sono tempi strani e credo davvero che quando tutta questa storia finirà, il mondo non sarà più lo stesso. Chissà, magari diventeremo tutti Cinesi, ci dovremo scordare della democrazia e vivere all’interno di un nuovo ordine mondiale. E quindi, perché non a Cuba, che è isolata da tutto e magari il virus non arriverà neppure, sempre che attecchisca a queste latitudini tropicali. La verità è che non lo sappiamo, ma intanto… Mi sistemo qui, for the time being.

Mi raccomando, scrivimi e raccontami come vanno le cose a Roma. Anch’io ti terrò aggiornato. Abrazos!

Spiderman.

Mi sono riletto la mail altre due volte, perché davvero stentavo a crederci. Tra le righe, intuivo che il vecchio cuore rosso di Spiderman aveva ripreso a battere. Davanti all’Apocalisse che si annunciava, aveva scelto da che parte stare. For the time being… Dimenticando il suo lauto stipendio a stelle e strisce, per ripartire da quell’isola che da mezzo secolo teneva testa all’Impero. Senza farsi troppe illusioni, magari, ma con il gusto di coltivarle, ancora una volta.
Non lo facevo così romantico.

Anch’io, la prima volta che sono andato a Cuba, ero davvero curioso di capire come stesse funzionando il socialismo, da quelle parti.
Male, sostanzialmente, anche se ci sarebbe un lungo discorso da fare, che tante volte avevo abbozzato, anche con Spiderman.
E però l’isola era affascinante e io venivo da un anno passato in ufficio, nella redazione di una soap-opera, con tanta voglia di riacciuffare i miei spazi, i miei tempi e la mia libertà. Proprio come vorrei tanto fare ora, adesso, subito. Ma non è più possibile.
Sono ormai preda dei ricordi. Non mi restano che quelli, per ingannare il tempo e tutte queste giornate vuote.

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Ero atterrato a Santiago. La mia valigia era andata smarrita durante il viaggio, ma la signora che mi ospitava, nella sua casa particular, diceva di non disperare. Ogni giorno mi accompagnava all’aeroporto, al volante di una Pontiac degli anni cinquanta, e ogni volta mi diceva di stare tranquillo.
“Mañana, mañana.”
Ogni mañana tornavamo all’aeroporto ed era sempre mañana.
Così, ridendo e scherzando, avevo finito per passare un’intera settimana a Santiago, scoprendo la città negra di Cuba e i tanti locali in cui mi fiondavo la sera, ogni volta che sentivo della musica provenire da qualche baracca.
Me ne ricordo una, in particolare, con un gruppo che prese a fare una canzone che non conoscevo e che più tardi venne inserita all’interno di Buena Vista Social Club.

Mueren ya, las ilusiones del ayer
Que sacié con lujurioso amor
Y mueren también con sus promesas crueles
La inspiración que un día le brindé

A metà concerto, il gruppo si prese una pausa e casualmente finirono per sedersi di fianco al mio tavolo. Il mio spagnolo si stava rivelando ogni giorno migliore e così dissi al cantante che quella canzone d’amore mi era sembrata una bella metafora dei sogni della Revolución cubana.

Mi guardò storto, leggermente assorto, senza replicare. Attento che nessuno ci ascoltasse. Evidentemente, parlare di politica, in un luogo pubblico, non era raccomandabile.

Poi, alla ripresa del concerto, fece cenno alla band, come per indicare un cambio di programma. Mi lanciò un cenno del capo, aggiustandosi la visiera del suo capello di paglia e riprese là da dove si era interrotto il nostro discorso.

E suonarono ancora una volta Amor de Loca Juventud.

 

foto di copertina via instagram

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