I test rapidi per il Coronavirus di Zaia non servono a niente

di Mario Neri

Pubblicato il 2020-07-15

Nei giorni scorsi abbiamo parlato dell’annuncio di Luca Zaia sui test rapidi per il Coronavirus che davano una risposta in sette minuti che erano stati sperimentati dalla USL del Veneto su fabbricazione coreana. È quindi per puro spirito di completezza dell’informazione che diamo conto oggi di uno studio pubblicato sul «Journal of Clinical Virology» che li boccia …

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Nei giorni scorsi abbiamo parlato dell’annuncio di Luca Zaia sui test rapidi per il Coronavirus che davano una risposta in sette minuti che erano stati sperimentati dalla USL del Veneto su fabbricazione coreana. È quindi per puro spirito di completezza dell’informazione che diamo conto oggi di uno studio pubblicato sul «Journal of Clinical Virology» che li boccia perché sbagliano nel 50% dei casi. Sul tema il Corriere del Veneto ha sentito Andrea Crisanti:

L’unico test rapido disponibile in commercio, quello per la rilevazione rapida dell’antigene (Rad) prodotto da un’azienda farmaceutica coreana e basato su una reazione cromatica che segnala se il liquido nasale prelevato col tampone contiene tracce del virus, non è ancora stato validato dalle autorità italiane ma è stato analizzato dai microbiologi del dipartimento di Salute di Hong Kong, designato dall’Oms tra i centri di riferimento per lo studio del coronavirus lo scorso aprile. E le conclusioni sono tutt’altro che lusinghiere. Il gruppo di ricerca ha comparato la diagnosi rapida sull’antigene (una proteina indicata dal sistema immunitario come estranea o potenzialmente pericolosa) con la coltura virale e il test molecolare Rt-Pcr, conducendo poi un’ulteriore valutazione su 368 campioni respiratori di pazienti positivi al Covid-19 raccolti tra l’1 febbraio e il 21 aprile con diverse tecniche.

Il risultato è che i limiti di rilevazione «variavano enormemente»: in particolare, il kit Rad è risultato 103 volte meno sensibile della coltura virale e 105 volte meno sensibile del test standard. Il  dato più eclatante, comunque, è  che il test rapido ha rilevato un numero di campioni risultati positivi al test Rt-Pcr compreso tra l’11,1% e il 45,7% del totale: questo vuol dire che in almeno un caso su due (e fino  a un massimo di nove casi su dieci) il test non riconosce l’infezione, e quindi produce dei falsi negativi. «Questo studio — scrivono gli autori — ha dimostrato che il test Rad serve solo come  complemento al test Rt-Pcr a causa del potenziale di risultati falsi negativi».

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Insomma, la pubblicazione smentisce l’efficacia dei test rapidi e trova d’accordo Andrea Crisanti, l’uomo dei tamponi a tappeto che ormai da tempo è entrato in rotta di collisione con Zaia. «Questo tipo di test ha molti limiti e non ha superato nessuna valutazione, non so perché la Regione abbia deciso di  presentarlo pubblicamente —  commenta Crisanti —. I kit che danno i risultati in pochi minuti possono essere applicati nei momenti di epidemia con tanti casi positivi, quando bisogna fare uno screening di massa in tempi rapidi e va bene prendere anche solo la metà dei pazienti effettivamente positivi. L’Italia ora è in una situazione completamente diversa, in cui serva l’assoluta certezza dei risultati e la priorità è proprio quella di non mancare i positivi. Questo approccio rischia di essere perfino controproducente».

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