I tamponi «debolmente positivi» e il Coronavirus a bassa carica virale in Lombardia

di neXtQuotidiano

Pubblicato il 2020-06-21

Rientrano nel conto dei contagi ma la potenza è minima. Rispetto ai tamponi fatti, a inizio epidemia erano quasi zero

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Dall’inizio dell’epidemia, i tamponi con esito “debolmente positivo” in Lombardia sono 14.378. Ma, spiega oggi il Corriere della Sera, dietro  questo numero c’è una curva che racconta in modo molto più netto una storia, che secondo parte della scienza può indurre all’ottimismo anche (e più) del costante calo dei ricoveri in ospedale. Il professor Giuseppe Remuzzi dell’Istituto Mario Negri ha detto che secondo le loro ricerche i nuovi positivi al Coronavirus non sono (così) contagiosi (come i primi), oggi il quotidiano spiega il senso di quelle affermazioni:

Si parte dal 20 febbraio, quindi l’indomani del giorno in cui il «Paziente 1» (che ne nascondeva tanti altri dei mesi precedenti) viene diagnosticato al pronto soccorso di Codogno e si arriva ai nostri  giorni. Se la percentuale di casi debolmente positivi in quella prima  settimana rasenta lo zero, avvicinandosi al massimo al 3 per cento (il 26 febbraio), ma tornando allo zero tre giorni dopo, nell’ultima settimana  invece si attesta intorno al 50 per cento, con un picco del 59 (il 12 giugno).

Significa che questi casi generano positività registrate nella stessa casella dei contagi come a inizio  epidemia ma con una carica virale minima, quindi probabilmente non più contagiosa. Questo spiega come la gran parte dei nuovi positivi riscontrati in Lombardia nelle ultime settimane  derivi dai test sierologici. E la storia del sierologico, per quanto ancora tutta da scrivere, racconta  di casi più «antichi», con un residuo di carica virale, quindi inevitabilmente più bassa. Abbastanza  però da far risultare positivo il tampone e quindi finire nei casi di giornata, ma non a trasmettere socialmente il contagio.

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I tamponi “debolmente positivi” in Lombardia (Corriere della Sera, 21 giugno 2020)

 

La questione si va però a incrociare con il caso degli isolamenti domiciliari. Che in Lombardia ieri erano ancora 12.456, il 90 per cento degli attualmente positivi nella Regione.

Un «serbatoio» molto lento da svuotare proprio perché per essere considerati  guariti servono due tamponi negativi a distanza di 48 ore.  Basta una minima quantità di virus anche vecchia a sballare  l’esito dell’esame e quindi a costringere la persona a ripetere il controllo a una settimana di distanza. Motivo per cui anche l’Oms tende a non raccomandare più un doppio tampone: molti  casi sono  troppo lenti a negativizzarsi.

Lo ha scritto in un circolare del 27 maggio, pensata proprio per gestire il caso di quelle persone isolate per mesi anche senza più sintomi. Nella comunità il dibattito sale di volume. Ci si sta rendendo conto che non si possono tenere a casa le persone per due mesi se non sono più «pericolose» per gli altri. Forse andrebbe spacchettato di più lo  specchietto con i dati di giornata. Le caselle hanno sempre più storie diverse dietro da raccontare. Ma serve una dimostrazione scientificamente stabile, altrimenti ogni ragionamento rimane al
punto di partenza.

Leggi anche: Come l’OMS cambia le regole del tampone

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