Cosa c'è davvero dietro l'hacking di Rousseau

di Alessandro D'Amato

Pubblicato il 2017-08-18

Ieri il blog di Beppe Grillo ha pubblicato un post a firma di Rufo Guerreschi in cui l’autore, con molta fantasia, sostiene che i leak del sito di Beppe possano essere “utilizzati per spostare decisamente l’esito delle prossime elezioni” (mentre per le elezioni politiche nazionali, purtroppo, ancora non si vota su Rousseau).  Il titolo del …

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Ieri il blog di Beppe Grillo ha pubblicato un post a firma di Rufo Guerreschi in cui l’autore, con molta fantasia, sostiene che i leak del sito di Beppe possano essere “utilizzati per spostare decisamente l’esito delle prossime elezioni” (mentre per le elezioni politiche nazionali, purtroppo, ancora non si vota su Rousseau).  Il titolo del post si concentra su questo, mentre nello scritto sono presenti alcune critiche, la più interessante delle quali è che gli hacker potrebbero muoversi in quanto “critici di alcune sue (del M5S, ndr) pratiche digitali e organizzative autocratiche” (toh!). Sul Corriere della Sera di oggi Alvise Losi firma un articolo in cui Guerreschi invece racconta una serie di aneddoti molto interessanti, purtroppo assenti nel post pubblicato da Grillo, che ci danno invece l’esatta dimensione della questione al di là dei complotti degli Illuminati per far perdere le elezioni a pòro Beppe:

Guerreschi ha conosciuto Grillo nel luglio del 2016, quando, in vacanza in Sardegna, è riuscito ad avvicinarlo per parlargli del tema della cyber security. «Passai con lui un’ora e mezza per spiegargli i problemi di sicurezza di Rousseau», racconta, «e ne ho ricavato una sensazione di ignoranza: Grillo non era cosciente dei dispositivi necessari per portare avanti questo tipo di democrazia diretta».
L’esperto fa l’esempio di alcuni partiti esteri che per ovviare ai rischi di attacchi hanno adottato una forma di voto online palese, così da consentire a ogni utente di controllare che il proprio voto non sia mutato. Grillo suggerì al suo interlocutore di confrontarsi con Davide Casaleggio, ma in un anno non si è mai presentata l’occasione. «Sapevo da Davide Barillari (consigliere regionale M5S del Lazio, ndr) che su questi temi non c’è confronto nel Movimento: si prende per buona la linea dettata dall’alto», riconosce Guerreschi.

beppe grillo hacker
Ora, a parte che bisogna complimentarsi con l’acutezza di Guerreschi, il quale ha scoperto da Barillari che nel M5S si prende per buona la linea dettata dall’alto  su temi informatici quando in realtà nel M5S si prende per buona la linea dettata dall’alto un po’ per tutto (non si può nascondere niente agli esperti!), la parte divertente arriva dopo, quando si scopre che Grillo ha risposto che l’accentramento del potere era necessario in attesa della creazione di una classe dirigente. Un po’ come si rispondeva all’epoca della rivoluzione russa sull’instaurazione della dittatura del proletariato (e sappiamo tutti poi com’è andata a finire). Il punto però è che anche dall’analisi che ne esce si scopre che non è una questione di spy story e di avversari politici che muovono i fili dei burattini, ma di competenze (mancanti) nella gestione della piattaforma e di curiose (eufemismo) interpretazioni delle leggi sui dati personali:

«Criticai Grillo per queste contraddizioni e mi rispose che ne era consapevole, ma in attesa della creazione di una classe dirigente il compromesso era l’accentramento del potere. Così però si sono perse le teste pensanti. E magari ai vertici salgono quelli che non espongono le proprie idee. O che proprio non ne hanno». Si sta ancora tentando di capire quanto la piattaforma Rousseau sia compromessa.
L’unico messaggio trapelato ieri dai Cinque Stelle, per voce di Simone Valente, vicepresidente del gruppo alla Camera, è che si sta «lavorando da anni per implementare il livello di sicurezza ed evitare nuovi attacchi in futuro». Guerreschi d’altra parte considera «pessimi i sistemi di sicurezza del M5S» e ritiene che l’hacker «possa essere chiunque, interno o esterno». Non solo: c’è anche la possibilità che non si sia limitato a rubare i dati sensibili, ma «abbia falsificato le informazioni all’insaputa degli stessi gestori della piattaforma». Così il problema si allargherebbe all’integrità dei voti se, «come è possibile», questi attacchi fossero stati già realizzati in passato. Anzi,«è probabile che l’hacker sia ancora all’interno del sistema».

Nel finale, si torna a bomba e si spiega un altro concetto interessante: se l’hacker ha agito, al massimo può aver influenzato votazioni su Rousseau e quindi la sua azione potrebbe determinare le votazioni su Rousseau, non certo le elezioni come si favoleggia nel post di Guareschi e nel titolo dato sul blog di Beppe. Ecco quindi cosa c’è davvero dietro l’hacking di Rousseau: l’autocrazia e la linea dettata dall’alto che non ascolta consigli o avvertimenti e le vulnerabilità presenti in un codice che evidentemente non è stato scritto rispettando i canoni di sicurezza minimi che un progetto così ambizioso avrebbe dovuto avere. Finito? No, c’è anche il vittimismo complottista che vuole scaricare la responsabilità delle proprie pecche su oscure forze pronte a tramare per influenzare il risultato delle prossime elezioni. Così abbiamo anche la scusa pronta in caso di sconfitta.

Leggi sull’argomento: Il senso di Casaleggio per i sicari informatici che hanno hackerato Rousseau

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