Economia
Renzi, Poletti e la bufala dei posti di lavoro
neXtQuotidiano 01/04/2015
Le segnalazioni di maggiori assunzioni da parte delle imprese probabilmente riguardano solo sostituzioni di vecchi contratti e sostituzione di contratti a tempo determinato, con effetto nullo sull’occupazione. Ma il governo continua a usare i numeri per fare propaganda
Il giorno dopo la comunicazione dell’ISTAT sulle forze lavoro è quello peggiore. Dopo gli allegri tweet del premier Renzi e le dichiarazioni ancora più giulive del ministro Poletti il saldo negativo per l’occupazione non suona soltanto come una brutta notizia, ma fa comprendere che l’atteggiamento del governo nei confronti dei dati da comunicare rasenta, se non entra allegramente nella propaganda. Nei primi due mesi dell’anno il governo aveva annunciato ad esempio 79mila contratti a tempo indeterminato in più rispetto allo stesso periodo del 2014. Il dato però teneva conto delle sole attivazioni ed era limitato al bimestre, mentre di solito questo tipo di comunicazioni è trimestrale. Il Sole 24 Ore ieri era riuscito a ottenere il dato mancante, ovvero quello sulle cessazioni dei contratti, che il governo aveva “dimenticato” di comunicare. Ebbene, anche le cessazioni erano aumentate, il saldo positivo era così sceso a 45mila.
RENZI, POLETTI E LA BUFALA DEI POSTI DI LAVORO
I dati dell’Istat ci dicono qualcosa di più. Ovvero che, come scrive ancora oggi Claudio Tucci sul Sole 24 Ore, le segnalazioni di maggiori assunzioni da parte delle imprese probabilmente riguardano solo sostituzioni di vecchi contratti e sostituzione di contratti a tempo determinato, con effetto nullo sull’occupazione. Ovvero, nessun incremento ma piuttosto una stabilizzazione più che creazione di nuova occupazione. Il bello di tutto ciò è che invece i numeri sono stati ripetutamente venduti da governo e media come l’inizio di un boom dell’occupazione. E c’è di più, scrive Carlo di Foggia sul Fatto:
Venerdì scorso, per dire, Poletti aveva comunicato le anticipazioni sui contratti siglati (“nei primi due mesi del 2015 si registrano 155 mila contratti in più rispetto al 2014”) per coprire il tonfo del fatturato dell’industria registrato a gennaio(-1,6 per cento rispetto a dicembre).Sarà un caso, ma da ieri l’Istat ha deciso di comunicare anche la media mensile rispetto ai tre mesi precedenti “per offrire ai lettori andamenti che risentono meno della variabilità che si osserva a breve termine”.
Tradotto: cerchiamo di fare un po’ di chiarezza vista la confusione regnante. Risultato? “Nel trimestre, l’occupazione è rimasta sostanzialmente stabile”, cioè non è cresciuta, a dispetto gli annunci. Se non è una risposta al governo, poco ci manca. Tanto più che pochi minuti dopo l’Istituto di statistica ha diramato alle agenzie una curiosa precisazione, quasi a compensare lo sgarbo: “A calare è solo l’occupazione femminile”. Che peraltro langue da oltre due anni.
E ancora, ricordiamo il recedente:
In pratica, le aziende hanno aspettato il nuovo anno per assumere, proprio per accaparrarsi i generosi incentivi previsti a partire da gennaio. Non solo. Nei primi due mesi del 2015 insieme alle “attivazioni”, sono cresciute anche le “cessazioni” di contratti stabili: dai 243 mila licenziamenti del 2014, ai 257 mila di gennaio-febbraio di quest’anno. Era già successo nel dicembre scorso, quando Poletti venne smentito a stretto giro dal suo dicastero: aveva anticipato i dati delle comunicazioni obbligatorie del terzo trimestre 2014, da cui si evinceva “un incremento di 400 mila unità”, guardandosi bene dallo specificare che quelli “cancellati” erano però 483 mila. Ieri, seppure in misura minore, è avvenuta la stessa cosa. Il ministero,poi, non ha volutodiffondere anchei dati di marzo2014.
Non è un dettaglio da poco: stando ai numeri, in quel mese le attivazioni “stabili” dovrebbero essere state almeno 200 mila, e questo ridimensiona non poco le uscite di Poletti. Se venisse considerato l’intero trimestre, infatti, probabilmente i “79 mila contratti a tempo indeterminato in più rispetto al 2014” rivendicati dal ministro del Lavoro sarebbero molti meno. Tanto più che l’altra faccia della medaglia è rappresentata dall’aumento dei contratti precari (circa 54 mila unità), dal calo di quelli di apprendistato (da 34mila del 2014 ai 33 mila di gennaio-febbraio 2015, mentre quelli “cancellati” sono più di tremila), su cui il governo aveva puntato molto: dovevano essere il cuore della “Garanzia giovani” (il cui flop è ormai conclamato)e invece vengono divorati dalla corsa agli incentivi.
E non è un dettaglio da poco nemmeno che anche ieri non si sia registrato nemmeno un tweet di spiegazione del presidente del Consiglio sull’accaduto, anzi.
I NUMERI E LA PROPAGANDA
Anche oggi, a parte Sole, Fatto e Manifesto, la questione è per lo più ignorata sui quotidiani. E sembra davvero incredibile che nemmeno Poletti abbia trovato il tempo per spiegare quantomeno l’uso allegro e propagandistico dei numeri che va avanti da mesi. Tra deputati che allegramente danno da tre mesi il merito al Jobs Act per ogni aumento percentuale dell’occupazione anche se questo è entrato in vigore soltanto il 7 marzo, e istituzioni che scompaiono di volta in volta sembra che l’unico utilizzo dei numeri da parte della politica sia quello della propaganda. Ed è tragico che lo si faccia su un dato così delicato.