Economia

Quegli «inattivi» che rovinano la festa al governo

neXtQuotidiano 02/09/2015

Federico Fubini sul Corriere della Sera oggi analizza i numeri dell’Istat sull’occupazione, e nota che sono in aumento gli inattivi

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Federico Fubini sul Corriere della Sera oggi analizza i numeri dell’Istat sull’occupazione, e nota che sono in aumento gli inattivi:

L’istituto statistico rileva che in luglio si registrano 44 mila occupati in più, al netto degli effetti della stagione turistica, ma anche che gli «inattivi» nel Paese crescono di 99 mila unità: questi ultimi spesso sono i demotivati, gli scoraggiati, coloro che magari inizierebbero a lavorare fra due settimane se solo sperassero di trovare un posto, ma non lo cercano neanche più. Gran parte dell’aumento degli «inattivi» si concentra fra le donne e i giovani. E la somma dei due fattori occupati più «inattivi» supplementari di luglio – dà nel complesso 143 mila disoccupati in meno. La lezione dell’ultima infornata dell’Istat è dunque che, specie per l’Italia, ha più senso misurare gli occupati che la percentuale di disoccupazione.

Spiega Fubini che il numero di inattivi importante per segnalare il reale stato del mercato del lavoro:

Questa infatti non cattura il numero, senza paragoni in tutto l’Occidente, di persone sarebbero in età da lavoro ma non cercano, o sono già in pensione benché pieni di energie, oppure sono giovani che non studiano più. È qui che gli smottamenti si stanno verificando. Ed è qui che le donne, per ora in terribili difficoltà (in Italia meno di una su due è occupata, al Sud meno di una su tre), possono trovarsi in posizione di forza sugli uomini: se non subito, sicuramente fra qualche anno. Quanto a questo i dati dell’Ocse, il club delle democrazie avanzate, sono espliciti nel mostrare come l’Italia sia indietro. Sulla carta ha un tasso di disoccupazione quasi della metà rispetto alla Spagna.

E anche il futuro non sembra così roseo:

In concreto però la quota di occupati in Italia è più bassa che in Spagna ed è fra le peggiori fra i 36 Paesi censiti dall’Ocse. Poco più indietro ci sono solo Grecia, Turchia e Sudafrica. Se si guarda poi alla partecipazione alla forza lavoro, cioè alla somma di occupati più disoccupati, l’Italia è ultima nell’Ocse: appena il 49% della popolazione in età da lavoro. Il problema del Paese va dunque al di là della disoccupazione, perché pochi sono inclusi nel sistema produttivo. Fanno eccezione i laureati: anche qui l’Italia è agli ultimi posti dell’Ocse, ma per chi ha un’istruzione superiore il tasso di occupazione è pur sempre elevato al 78%. Spiega dunque qualcosa che l’Italia abbia la quota di laureati più bassa dell’Unione europea. L’istruzione formale non sarà tutto, ma aiuta. È qui però che è in corso una crisi, sorda e drammatica: questo Paese è un caso unico in Europa nel quale le iscrizioni all’università calano invece di aumentare, perché solo le donne cercano di studiare sempre di più.

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