Opinioni

«È possibile uscire dall’omosessualità?»

di Chiara Lalli

Pubblicato il 2015-01-17

«Uscire dall’omosessualità» è una delle espressioni tipiche del pensiero riparatore, quello secondo cui solo l’eterosessuale è sano e riparato

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Due giorni fa su Avvenire (Risponde su gay e terapie, psicologo condannato) si può leggere l’ultima lagna in materia di riparatori, cioè come uscire dall’omosessualità.
Dopo averci detto chi è Paolo Zucconi e quali studi ha fatto, si passa a difendere l’indifendibile.
I riparatori

Zucconi articola la sua risposta citando i protocolli della terapia cognitivo-comportamentale, da tempo utilizzati con successo negli Stati Uniti ma anche in Europa, e spiega che «quando una persona avverta un evidente disagio nel suo comportamento sessuale», è possibile ricorrere a queste terapie. Apriti cielo.
Un collega napoletano chiede immediatamente la rettifica e poi lo denuncia all’ordine. Gli psicologi della Lombardia avviano un procedimento e, dopo un ‘processo deontologico‘ tenutosi a Milano lo scorso 11 dicembre, gli annunciano la punizione: tre mesi senza lavorare.
Zucconi racconta che durante la seduta, lui seduto davanti a quindici colleghi, ha avvertito una grande ostilità ideologica: «Tutto sembrava già preordinato. Ho subìto un lungo interrogatorio tutto giocato sull’efficacia delle cosiddette ‘terapie riparative’. Io mi sono limitato a citare la letteratura scientifica sull’argomento, ma ho affermato di non aver mai avuto l’occasione di sperimentarne l’efficacia. Certo, ho ammesso che se un paziente mi chiedesse di essere aiutato, esaminerei il caso e non mi tirerei indietro». Probabilmente, dice, è la frase che fa scattare la sanzione. ‘Sospeso’. L’unanimismo del pensiero unico, quando si parla di identità sessuale, non accetta discussioni. Il terapeuta che devia, anche solo in linea di principio, va criminalizzato e sanzionato.

Fanno i finti tonti. E se non fosse già abbastanza insopportabile la puzza di riparazione si può leggere oltre.

Ma se è il paziente stesso a chiedere aiuto? Se dichiara di vivere con disagio la propria sfera identitaria e intende verificare le possibilità di rimuovere l’origine del problema? In questo caso le ‘terapie riparative’ sarebbero lecite? Domande che sembrano destinate a rimanere senza risposta, perché la questione appare comunque sgradita, imbarazzante, politicamente scorretta. Lo specialista che affronta il tema rischia di finire sotto inchiesta.

E se il paziente (eterosessuale) chiedesse aiuto darebbero la stessa risposta? No, perché il problema è un certo orientamento sessuale. L’imbarazzo è tutto il loro.

Ed è noto il fuoco incrociato che si scatenò nel 2008 contro Tonino Cantelmi, presidente degli psichiatri cattolici, per aver sostenuto l’opportunità di affrontare dal punto di vista terapeutico il ‘disagio omosessuale’.

Già, Tonino Cantelmi. Il disagio (omosessuale o eterosessuale o casto o bisessuale o confuso) non c’entra nulla con la riparazione. E non esiste alcun disagio omosessuale, come non esiste lo stile di vita gay o il gusto lesbico o il carattere casto. Uscire dall’omosessualità è un’ossessione di chi, superati i 14 anni, continua a pensare in modo semplicistico e pretende di indicare come sano e giusto e bello il solo orientamento eterosessuale (possibilmente senza esagerare con la lussuria e indirizzando il piacere sessuale a fini riproduttivi ché altrimenti non sta bene).
Non ci risparmiano il riferimento al convegno che si sta svolgendo oggi.

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