Come Pio e Amedeo hanno fatto arrabbiare (anche) la comunità ebraica

di Maria Teresa Mura

Pubblicato il 2021-05-03

Il monologo di Pio e Amedeo è stato ampiamente criticato sui social e magistralmente confutato da Michele Bravi. Ma non sono solo i gay ad aver protestato. Anche la comunità ebraica ha provato a spiegare tutto quello che hanno sbagliato

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Il monologo di Pio e Amedeo è stato ampiamente criticato sui social e magistralmente confutato da Michele Bravi sul palco del concertone del primo maggio. Ma non sono solo i gay ad aver protestato. Anche la comunità ebraica ha provato a spiegare ai due comici cosa c’era di sbagliato nella loro tesi

Come Pio e Amedeo hanno fatto arrabbiare (anche) la comunità ebraica

Il monologo di Pio e Amedeo ha sostenuto una tesi controversa, e smentita dalla realtà di chi è stato oggetto di violenze non solo verbali ma anche fisiche: “L’ignorante si ciba del vostro risentimento” per cui “Se vi dicono fr.., voi ridetegli in faccia”. Ma i due comici hanno allargato il concetto a qualsiasi termine usato per offendere una minoranza o un gruppo particolare di persone:

Non dobbiamo vergognarci di dire la parola ‘neg*o’ perché conta la cattiveria nella parola, conta l’intenzione. Se l’intenzione è cattiva, allora è da condannare. Il politically correct ha rutt’o cazz. Ci vogliono far credere che la civiltà sta nelle parole, ma è tutto qua nella testa. Fino quando non ci cureremo dall’ignoranza di quelli che dicono con fare dispregiativo che è quello il problema, ci resta un unica soluzione: l’autoironia. Così noi dobbiamo combattere gli stolti, con un messaggio. Se vi chiamano ricch**ni, froci per ferirgli, voi ridetegli in faccia perché lo stolto non saprà cosa fare, la cattiveria non risiede nella lingua, è l’intenzione.

Tra quelle parole c’era anche il termine “ebreo”, anzi la sua peggiore accezione unita al più becero pregiudizio: “ebreo tirchio”. A rispondere ai due comici è stata Ruth Dureghello, presidente Comunità Ebraica di Roma, con un lungo post su Facebook: “Solamente al termine dello Shabbat ho avuto modo di visionare il video di Pio e Amedeo in cui si faceva ironia su ebrei, omosessuali e persone di colore. Non so se il termine ironia sia il più corretto, la mia idea è che si possa ridere su tutto, ma con il limite del buon senso e della coscienza del valore delle parole”. “Nella tradizione ebraica – spiega – il mondo viene costruito con la parola e attraverso le parole possiamo distruggerlo. Non è vero che il problema sia l’intenzione che si mette, il tema sono le parole per il significato che assumono e per ciò che contribuiscono a creare nell’ambiente in cui viviamo. Si può scherzare su tutto? Certo, lo hanno fatto comici veri e di livello, consapevoli dell’importanza della parola e degli effetti che ha prodotto nella storia”.

“Sdoganare – aggiunge Dureghello – l’aggettivo ebreo con il significato di tirchio per esempio, può sembrare rivoluzionario solo agli ignoranti che non conoscono le cose. Non conoscono la ragione storica su come nasca un pregiudizio e di come la somma di questi pregiudizi, espressi attraverso le parole, abbia creato le condizioni affinché per esempio nel novecento, milioni di persone volgessero lo sguardo altrove, mentre altri come noi venivano sistematicamente sterminati. Non penso che l’intenzione dei due comici fosse questa, penso semplicemente che abbiano voluto affrontare un tema importante con eccessiva superficialità dicendo che basta ridere in faccia a chi ti insulta”. “Non basta – dice ancora – perché le parole sono il preludio della violenza, perché per esempio le cronache sono ancora piene di notizie di persone omosessuali insultate e poi aggredite, di chi ha un colore diverso della pelle che è costretto a subire razzismo e intimidazioni. Questa è la difesa della libertà di tutti, non razzismo al contrario o difesa di alcune minoranze. Anche quella di un bambino del sud che si trasferisce al nord e non deve accettare gli insulti contro i meridionali solo perché così lo hanno deciso Pio e Amedeo”.

“È difesa della televisione – prosegue il post – come strumento didattico che ha funzione sociale e in cui una azienda come Mediaset non dovrebbe permettere che, nella propria rete di punta in prima serata, vengano affrontati temi complessi con ragionamenti da bar. Chi difende la licenza a insultare non difende la libertà d’espressione, ne limita l’esercizio a chi è vittima della violenza. Questo lo voglio dire anche ai politici che hanno preso posizione, nella speranza che i loro post siano solo iniziative dei loro social media manager. Sono certa che chi ricopre ruoli di rilievo invece che difendere il diritto di affermare la frase ‘non fare l’ebreo’ o a usare i termini ‘fr… e neg..’ nel linguaggio colloquiale, dovrebbe occuparsi di cose più serie, come per esempio le limitazioni crescenti alle libertà in paesi come Ungheria e Polonia tanto per citare casi di questi giorni. Occupiamo di cose serie, difendendo la libertà d’espressione vera e non il diritto a insultare l’altro che è cosa diversa”, conclude.

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