Economia

Philippe Martinez: il sindacalista che blocca la Francia

di neXtQuotidiano

Pubblicato il 2016-05-26

In due mesi e mezzo è stata un’escalation: prima gli scioperi e le manifestazioni, poi il blocco delle raffinerie e il braccio di ferro con Valls. Resta l’arma dello sciopero generale. E lui oggi chiede lo sciopero generalizzato a tutti i lavoratori. Sette francesi su dieci sono contrari alla Loi Travail e molti ritengono le proteste giustificate

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È la bestia nera del governo di Manuel Valls, un uomo uscito bruscamente dall’ombra e balzato alla guida della protesta contro la riforma del lavoro al momento giusto per serrare le fila dei suoi uomini in un sindacato in forte difficoltà. È Philippe Martinez, segretario generale della prima organizzazione di lavoratori francese, la Cgt. “Siamo determinati”, ripete senza sosta. “Promettiamo che se il governo non ritira il suo progetto, se i lavoratori non sono d’accordo, le mobilitazioni continueranno e si estenderanno”. In due mesi e mezzo è stata un’escalation: prima gli scioperi e le manifestazioni, poi il blocco delle raffinerie e il braccio di ferro con Valls. Resta l’arma dello sciopero generale, che Martinez, ritenuto un fine stratega e un leader, agita a mezza bocca, lanciando un appello a “una generalizzazione dello sciopero ovunque, in tutti i settori”. Il baffuto sindacalista, che proviene dal sindacato dei metalmeccanici, finora “non aveva l’immagine del duro, al contrario di uno con cui si poteva discutere” ha detto il sociologo Jean-François Amadieu all’AFP. Ma “la posta in gioco è la rappresentanza del sindacato e la sua immagine appannata, perciò questa mobilitazione cade a puntino” aggiunge Amadieu.

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La vignetta di Plantu su Martinez (Twitter)

Philippe Martinez

Quando a febbraio 2015, Philippe Martinez, 55 anni, viene nominato alla guida della CGT dopo le dimissioni di Thierry Lepaon, defenestrato per uno scandalo sul suo tenore di vita, il sindacato è un campo di battaglia. Il suo obiettivo principale è quello di serrare i ranghi. Confermato dal congresso della Cgt ad aprile di quell’anno, può mettere in campo la sua strategia. Fino a qualche tempo fa sconosciuto al grande pubblico e poco allenato all’esercizio mediatico, oggi Martinez è in piena luce, simbolo della conservazione per alcuni, campione della lotta contro l’attacco ai diritti dei lavoratori per altri. Nato il primo aprile 1961 in una famiglia di immigrati spagnoli, come Valls, che per la verità è catalano, Philippe Martinez ha fatto tutta la sua carriera nello stabilimento Renault di Boulogne-Billancourt, dove è entrato nel 1982. È delegato sindacale centrale quando nel 1997 la casa auto chiude la fabbrica belga di Vilvoorde. Martinez ricorda “una forte esperienza di lotta” a livello “europeo”. Tesserato del partito comunista francese da giovanissimo, lo lascia nel 2002, ma mantiene “un certo numero di ideali”. È il primo numero uno del suo sindacato senza tessera del PCF. I collaboratori lo descrivono cone un “fine tattico”, a volte autoritario, che ha saputo convincere le potenti federazioni di categoria. “Martinez ha scelto di dare la parola alla linea dura della CGT. È stata una scommessa per rincuorare le truppe” dice un membro del Comitato confederale nazionale. “Rispetto ai suoi precedessori ha uno stile deciso, che spesso si fonda sui temi della lotta di classe, per serrare i ranghi” e “distinguersi dagli altri sindacati” spiega Bernard Gauriau, professore all’università di Angers, giuslavorista. La posta in gioco, mantenere la leadership del suo sindacato di fronte all’avanzata della CFDT, organizzazione di lavoratori con radici cattoliche. “La sua strategia è di fare della Cgt un’organizzazione in grado di raccogliere i malcontenti, essenziale sul piano degli elettori, soprattutto meno qualificati” spiega Amadieu. Ma “i rischi sono evidenti”, prosegue: “Se la gente si preoccupa per le violenze, detesta essere bloccata senza benzina, senza mezzi pubblici, e così via, il successo della protesta non è per nulla scontato”. Sette francesi su dieci sono contrari alla riforma del lavoro, ma il 58% vorrebbe che le proteste avessero fine, secondo un recente sondaggio.

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La copertina dell’Economist sulla Francia

Una generalizzazione degli scioperi

Prosegue intanto a tamburo battente lo scontro tra i sindacati di sinistra e il governo in Francia sulla riforma del mercato del Lavoro. Oggi CGT, FO, Solidaires, FSU, Unef, Fidl e UNL hanno indetto l’ottava giornata di mobilitazione da marzo. La prossima è già prevista per il 14 giugno. Finora la manifestazione piu’ affollata è stata quella del 31 marzo (390 mila persone per la polizia e 1,2 milioni per i sindacati), poi l’affluenza e’ calata, per risalire lo scorso 19 maggio (128- 400 mila persone). Martinez chiede una “generalizzazione degli scioperi”. Il governo replica con toni duri e rassicura i francesi sui rifornimenti. “Sara’ fatto tutto il necessario per assicurare gli approvvigionamenti ai francesi e all’economia”. Dice il portavoce del governo, Stéphane Le Foll. Finora sono stati usati 3 giorni di riserve stategiche petrolifere su un totale di 115 giorni. Oggi, con i blocchi nei porti, i rifornimenti saranno ancora piu’ difficili. Intanto la SNCF, le ferrovie francesi, fanno sapere che in mattinata il traffico dei treni e’ “poco perturbato”, malgrado lo sciopero indetto dalla CGT e da SUD-rail. Il quinto sciopero del settore da marzo. La protesta è salita di tono nel fine settimana con la discesa in campo dei dipendenti dei siti petroliferi e nucleari e le con difficoltà crescenti per l’approvvigionamento di carburante. Tutto amplificato dalla presenza, all’orizzonte, degli Europei di calcio, che inizieranno il 10 giugno e che galvanizzano la Cgt, il principale sindacato francese, e il suo segretario generale, Philippe Martinezm, che guida la protesta nazionale. Così la maggioranza di governo perde giorno dopo giorno di compattezza: il premier socialista Manuel Valls ha ribadito ancora una volta questa mattina su Bmftv quanto affermato ieri in Assemblea nazionale: “Non toccheremo l’articolo 2” della legge El Khomri. Per Valls “è fuori questione cambiare il quadro” del testo di legge, anche se “si possono ancora apportare modifiche e migliorie”. Affermazioni che confliggono con le aperture espresse dal ministro dell’Economia, Michel Sapin, che poco prima aveva detto che “forse” si sarebbe potuto toccare questo articolo, pur escludendo di “rimetterne in causa il principio”. Sull’articolo 2 della legge El Khomri, dal nome della ministra del Lavoro che l’ha firmata, si concentra gran parte del malcontento dei lavoratori francesi. Esso prevede una inversione della gerarchia delle norme poiché nei termini attuali sancisce il “primato dell’accordo aziendale in materia di orario di lavoro” sul contratto di categoria. Secondo un sondaggio Ifop diffuso oggi su Rtl, sei francesi su dieci ritengono che le proteste contro la legge sul lavoro siano “giustificate”. Il progetto potrebbe diventare legge entro giugno. Intanto il premier Valls ha convocato per sabato i lavoratori del settore petrolifero, che bloccano sei delle otto raffinerie francesi mettendo a rischio i rifornimenti di benzina.

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