«Pestare un leghista non è reato»

di Alessandro D'Amato

Pubblicato il 2015-03-07

Le lamentele di Borghezio per i fatti del 2005. E come sono andati veramente

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Mario Borghezio è indignatissimo, e lo fa sapere dalle colonne de Il Giornale: «Hanno archiviato l’indagine sulla mia aggressione del 2005, lo scopro soltanto ora. Nessun indagato. Si vede che pestare un leghista non è un reato». Il fascicolo è stato archiviato nel 2008, dopo tre anni di indagine, a termini di legge. Il motivo non è una persecuzione o l’acquiescenza della magistratura nei confronti dei violenti, però.
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Il deputato Ue del Carroccio piemontese viene attaccato il 17 dicembre 2005: «Dovevo andare a Milano, per un comizio, e allora ho preso il treno. Solo che sullo stesso convoglio sono saliti centinaia di No Tav di ritorno da un corteo che a un certo punto mi hanno individuato perché leggevo il Giornale. Mi hanno sequestrato e riempito di pugni, mi hanno spaccato il naso, hanno pure tentato di scaraventarmi giù dalla carrozza, e per fortuna la mia imponente mole mi ha aiutato a resistere, poi mi hanno rapinato la borsa in pelle cui ero particolarmente affezionato perché regalatami da mia sorella quando ero diventato sottosegretario alla Giustizia. Sono stato salvato dai due agenti della Polfer che mi scortavano e che mi hanno difeso con grande coraggio».
Borghezio si ritrova in ospedale. Gli aggiustano il naso, dopo qualche giorno lo rimandano a casa anche se ha problemi di equilibrio e deve superare un fortissimo choc. Dopo qualche settimana, la Digos, che ha filmato i manifestanti saliti sul treno a Porta Susa, gli mostra le immagini di molti giovani. E lui ne riconosce 11, 6-7 con assoluta certezza. La procura lo fa anche visitare dal medico legale per accertare i danni subiti. Poi più nulla. Il vuoto. Il silenzio. Nemmeno un interrogatorio davanti a un magistrato.

Un articolo del Corriere della Sera riepiloga i fatti dell’epoca, e il racconto di oggi diverge. In primo luogo si scopre che la polizia gli aveva detto di non salire sul treno perché c’erano rischi, e lui aveva insistito a salire. In più, era accompagnato da due agenti in borghese:

L’happening alla Pellerina si era chiuso da un’ora e mezza, i manifestanti stavano tornando a casa. Borghezio doveva andare a un comizio alla Martesana e si è presentato alla stazione di Torino Porta Nuova per prendere l’interregionale per Milano. «Per prudenza sarei sceso a Novara, dove mi aspettavano i militanti leghisti».
Gli uomini della polizia ferroviaria hanno provato a convincerlo a non prendere quel treno. Lui non ne ha voluto sapere: «Sono un libero cittadino», e si è messo in uno scompartimento di prima classe. Allora la Polfer ha deciso di farlo accompagnare da due agenti in borghese.

Riguardo i due poliziotti, il Corriere precisa: «Sono stati visitati: l’uomo zoppica e la ragazza ha un collare. Tanti dei colpi diretti a Borghezio li hanno presi loro». In più, all’epoca non era nemmeno convinto di fare una denuncia: «Non so ancora se fare una denuncia, voglio dormirci sopra. Ma a questi ragazzi dico che dovrebbero imparare dalle persone della Val di Susa, capaci di manifestare il loro dissenso pacificamente. E in ogni caso sappiano che non mollo, la mia lotta va avanti». In più, la polizia aveva già fatto sapere che dal treno, che fermava in tante stazioni, gli aggressori avevano avuto l’opportunità di scendere prima dell’arrivo all’ultima tappa. Insomma, era molto difficile per la polizia ritrovare chi ha picchiato Borghezio, anche perché probabilmente quelli che lui ha riconosciuto “con assoluta certezza” non potevano essere indiziati. Così si spiega molto meglio l’accaduto. In attesa delle carte, che l’avvocato di Borghezio va a cercare adesso in procura, a quasi dieci anni di distanza dai fatti. Sembra proprio che l’aggressione che ha subito fosse l’ultimo dei pensieri di Borghezio, visto che in così tanto tempo ha scritto a tutti (dai ministri al presidente della Repubblica) senza mai mandare nessuno a cercare le carte dove stavano.

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