Opinioni
Parlare di aborto
Chiara Lalli 15/12/2014
Di cosa parliamo quando parliamo di aborto? E come lo facciamo?
Con un antiabortista (ovvero con Luigi Amicone, direttore di «Tempi»).
La questione non è con chi parlare, ma come se ne parla. E non è nemmeno che sia più difficile parlare con uno che la pensa diversamente da noi («Parlo di aborto con lui, perché parlarne con le mie amiche è troppo facile») ma, di nuovo, non inciampare nelle proprie premesse e non fare il gioco delle tre carte. Luigi Amicone dice cose come:
Depenalizzazione, forse. Ma anche libertà delle coscienze. D’accordo sul fatto che mettere a rischio la salute delle donne non aiuta. Ma faccio notare che il primo rischio è per la pelle dei bambini. La depenalizzazione, ovvero la possibilità di attuare in sicurezza gli interventi fuori dalle strutture pubbliche, potrebbe essere un’idea da pensare. Anche se poi si aprirebbe il pericolo di un mercato degli aborti.
Oppure:
Io mi augurerei il cento per cento di obiezione.
O ancora:
Forse non è buona politica. Forse, ripeto, la depenalizzazione potrebbe essere una soluzione. Ma so che i fatti determinano cultura. Anche con la depenalizzazione l’aborto verrebbe banalizzato. Forse la vera cosa da fare sarebbe vietare l’aborto su tutto il territorio nazionale e costringere le donne ad andare all’estero…
[…]
Il mio pensiero è questo: lotta a tutto campo perché le donne non siano impedite a fare bambini, a partire dal mondo del lavoro. E accoglienza per tutti i bambini, anche quelli non voluti. Cominciando per esempio con il facilitare le adozioni.
[…]
Lasciamelo ridire: se io fossi al governo lancerei la sfida del divieto di aborto su tutto il territorio nazionale.
Quando dice cose del genere, insomma, non è la diversità del suo pensiero che deve interessarci, ma la sua tenuta e la sua verosimiglianza normativa. La prima questione è terminologica: «la pelle dei bambini» (cioè degli embrioni o dei feti che bambini non sono). Poi ci sono quelle più sostanziali, riducibili al divieto di interrompere una gravidanza. Ovvero: se rimani incinta (poco importa perché, se per tua distrazione o per eventi indipendenti da te, dopo uno stupro o perché hai saltato una pillola) devi portare avanti la gravidanza. Per forza. «Accoglienza per tutti i bambini, anche quelli non voluti». Divieto assoluto, totale (o per legge, o per abuso di obiezione di coscienza). Possibilmente con la minaccia del carcere per chi prova a violarlo. Come urlavano durante la Marcia per la vita: «Almeno la galera!».
La posizione di Tempi sull’aborto è abbastanza chiara. Basta andare a leggere qualche articolo.
Nemmeno la madre della legge Simone Veil pensava che l’#aborto fosse un «diritto fondamentale» http://t.co/CBrEQrXWlv #Francia
— TEMPI (@Tempi_it) 28 Novembre 2014
#Francia. 40 anni dopo, l’#aborto diventa un diritto. E Catherine Deneuve la spara grossa http://t.co/MKsGigmpFm
— TEMPI (@Tempi_it) 27 Novembre 2014
Normalizzare l'#aborto o abortire la normalizzazione? Sulla copertina di @Internazionale http://t.co/hU6XXibplD pic.twitter.com/HpcKo0FOW8
— TEMPI (@Tempi_it) 24 Novembre 2014
«Sono vivo grazie a mia madre, che si rifiutò di abortire». Il racconto dell’arcivescovo di Riga http://t.co/rOAB3KrMAr #aborto
— TEMPI (@Tempi_it) 29 Ottobre 2014
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