Opinioni
Orario di lavoro in Finlandia: quando la notizia fake è l’ultimo dei problemi
Elio Truzzolillo 10/01/2020
Il fatto: qualche giorno fa sui giornali italiani ed esteri è rimbalzata la notizia per cui il governo della giovane premier finlandese Sanna Marin si stesse accingendo a ridurre l’orario di lavoro da 40 a 24 ore (cioè 6 ore per quattro giorni a settimana). La notizia è un fake, per chi volesse conoscerne i […]
Il fatto: qualche giorno fa sui giornali italiani ed esteri è rimbalzata la notizia per cui il governo della giovane premier finlandese Sanna Marin si stesse accingendo a ridurre l’orario di lavoro da 40 a 24 ore (cioè 6 ore per quattro giorni a settimana). La notizia è un fake, per chi volesse conoscerne i particolari suggerisco la ricostruzione del bravo David Puente su Open. Ma non è mia intenzione annoiarvi con i soliti concetti scritti e ripetuti più volte a proposito delle fake news. Cadere nel tranello di una notizia falsa, in alcuni specifici casi, ci può stare. Il problema è un altro. Il problema è la totale mancanza di senso critico dei giornalisti italiani, mi riferisco soprattutto alle grandi testate, permeati da una mentalità populista e stracciona che è il perfetto contro altare di quella dei nostri politici (da destra a sinistra senza distinzioni).
Supponiamo che la notizia fosse stata vera, sarebbe stata giustificabile la totale assenza di un’analisi critica su un fatto così immenso? Dichiarare di ridurre l’orario di lavoro in modo generalizzato del 40% a parità di stipendio, non avrebbe dovuto suggerire un certo scetticismo a qualunque giornalista dotato di senno? Almeno una piccola riflessione sulla differenza che intercorre tra le promesse palesemente inattuabili e la realtà? Purtroppo a nessuno è venuto in mente che la cosa richiederebbe un aumento di produttività non compatibile con le leggi della fisica (concedetemi la battuta). Evidentemente i nostri giornalisti sono ormai abituati a registrare come notai le panzane dei politici italiani senza alcun senso critico. Anzi, se provengono dalla parte politica per cui si nutre simpatia, sono abituati a elogiare entusiasticamente queste panzane. Ma i giornalisti non devono essere notai che prendono nota di quello che succede, hanno il dovere di intermediare le informazioni e, soprattutto, le dichiarazioni dei politici. Se un politico afferma che approverà 30 miliardi di tagli alle spese, senza alcuna pianificazione, al primo consiglio dei ministri o che rimpatrierà 500.000 clandestini in 18 mesi, il giornalista con un minimo di senso critico e di onestà intellettuale, ha il dovere di “urlare” che il politico sta prendendo in giro l’elettorato. Se è anche un conduttore televisivo ha il dovere di dirglielo in faccia. Non solo, ha il dovere di non farlo a giorni alterni a seconda dello schieramento ideologico in cui si riconosce ma di farlo sempre. Quindi, anche supponendo che la dichiarazione del primo ministro Sanna Marin fosse stata vera, non è tollerabile il modo in cui la notizia è stata data dai media italiani. Se all’estero alcune testate come The Guardian e L’Independent (più il secondo del primo) hanno almeno rilevato alcune criticità, in Italia i vari Corriere della Sera, Repubblica, Il Fatto Quotidiano e Huffington Post si sono limitati a registrare la lieta novella tradendo un certo compiacimento, financo una malcelata euforia (ci riferiamo per semplicità alle edizioni on line).
Il Corriere della Sera pubblica la notizia nella sezione Economia (uno si aspetterebbe chissà quali approfondimenti dalla redazione economica). Bene, nessuna criticità è stata rilevata, è solo data a corredo l’informazione (completamente falsa) che la Svezia ha già implementato con successo la riduzione dell’orario lavorativo a 6 ore giornaliere. È probabile che la giornalista si riferisse alla sperimentazione avvenuta nella città di Göteborg per alcune strutture pubbliche. Questa sperimentazione è però stata interrotta per gli alti costi determinati dall’assunzione di nuovo personale (Strano vero? Può capitare che diminuendo l’orario di lavoro a parità di stipendio sia necessario assumere altre persone e che questo provochi un aumento dei costi). Anche Repubblica non rileva alcuna criticità ma almeno è un po’ più precisa nel sottolineare che in Svezia ci sono state e ci sono solo delle sperimentazioni parziali (che ovviamente per Repubblica funzionano e hanno funzionato tutte alla perfezione, spiegarle bene rovinerebbe il morale del lettore). L’Huffington Post mostra un entusiasmo ancora maggiore. L’articolista riporta con dovizia l’esperimento (molto limitato e come sappiamo fallito) della Città di Göteborg, spiegandoci perché ha avuto successo (lui non lo sa che è avvenuto l’esatto contrario). La spiegazione è meravigliosa: pare che assumendo più persone siano aumentate le entrate fiscali quindi il bilancio della municipalità ne ha tratto giovamento. Capito? È semplice, lasciamo che i nostri comuni assumano il più possibile dipendenti, questo genererà nuove entrate fiscali che lo stato girerà ai comuni che miglioreranno i loro bilanci. In confronto i teorici del moto perpetuo erano dei dilettanti.
Il Fatto Quotidiano, come il Corriere, è convinto che l’orario lavorativo in Svezia sia stato ridotto senza problemi e in modo generalizzato a 6 ore giornaliere. Poi, giusto per creare confusione nel lettore, elenca le ore lavorate mediamente negli stati europei. Lo fa riportando (e senza spiegarlo al lettore) i dati OCSE sulle ore mediamente lavorate da tutti i lavoratori di uno stato. Si tratta della somma di tutte le ore lavorate (contratti a tempo determinato, indeterminato, part time e ore straordinarie) divise per il numero di lavoratori, non del contratto “base” di lavoro. In questo modo il lettore italiano sarà furibondo nello scoprire che gli olandesi lavorano solo 28 ore a settimana.
Dopo tutto questo entusiasmo milioni d’italiani si staranno chiedendo cosa aspettiamo a ridurre in modo generalizzato l’orario di lavoro anche in Italia visto che lo avrebbero fatto già tutti. D’altronde se nessun giornale ci ha spiegato perché non è così facile, perché non dovremmo pensarlo? Il problema della riduzione dell’orario di lavoro a parità di stipendio è sostanzialmente un problema di produttività. Qui il link a un post dell’ottimo Massimo Fontana che prova a spiegarlo in modo comprensibile. Purtroppo le fantasiose ricostruzioni che si leggono in giro su aumenti di produttività prodigiosi derivanti da un numero minore di ore lavorate, sono solitamente panzane che i giornalisti italiani amano raccontare e raccontarsi. Spesso si porta il ridicolo esempio di riunioni che prima duravano due ore e che dopo la riduzione dell’orario di lavoro durano un’ora a parità di temi discussi e decisioni prese (cosa possibile). Purtroppo operai, infermieri, impiegati alle poste, poliziotti, contabili, camerieri, addetti alle pulizie, commessi, ecc., non passano il loro tempo a fare riunioni di lavoro. Le cose sono molto più complesse. Certe sperimentazioni possono reggere in particolari settori e in particolari aziende, dove si verificano particolari condizioni e si introducono specifici strumenti. Di solito, guarda caso, questi esperimenti avvengono nelle odiatissime multinazionali (che sono molto produttive) ma non in modo generalizzato in tutte le divisioni o dipartimenti.
Giusto per chiarirsi la tanto citata riduzione generalizzata francese a 35 ore è ormai considerata quasi unanimemente un fallimento. Non solo si stanno moltiplicando le esenzioni dal contratto base, ma lo stato ha dovuto spendere parecchi miliardi per detassare gli straordinari, neutralizzando così i maggiori costi delle imprese (in Francia circolava una battuta sprezzante tra i manager: “Le 35 ore ci piacciono così tanto che le facciamo due volte a settimana”). Dovremmo aspettare ben altri aumenti di produttività per sperare in futuro in sostanziose riduzioni generalizzate. L’Italia, dove gli aumenti di produttività sono stagnanti da anni, sarà l’ultimo paese a poterlo fare. In un paese dove gli stessi salari faticano a crescere (spoiler: anche i salari nel lungo termine dipendono dalla produttività e non dalle leggi che fanno i politici) sarà ben difficile avere grandi novità a breve. Anzi, paradossalmente se la nostra produttività relativa, cioè rispetto a quella degli altri stati, continuerà a diminuire, dal punto di vista strettamente economico l’unica soluzione sarebbe aumentare l’orario di lavoro in modo generalizzato. Ovviamente la cosa è improponibile per motivi politici e sociali e viene compensata da stipendi stagnanti. Per questo siamo un paese in declino. Provate a cercare la parola produttività nei programmi o nei discorsi dei nostri politici e rimarrete delusi. In compenso straparlano tutti (senza capirne un tubo) di disuguaglianza, di imprecisati investimenti green, di nuovi modelli partecipativi, di globalizzazione, di politica industriale, d’imprese strategiche, dell’importanza delle piccole aziende che hanno fatto grande l’Italia e di lotta all’evasione.
Facendo riferimento alla già citato studio dell’OCSE sulle ore mediamente lavorate, non è un caso che l’Italia sia tra i paesi europei in cui lavoratori lavorano più ore insieme a Estonia, Portogallo, Grecia e Irlanda. Così come non è un caso che gli stati in cui si lavorano meno ore siano Germania, Olanda, Lussemburgo e Austria. Diciamolo chiaramente: in questi stati si lavora di meno perché sono più produttivi, non sono più produttivi perché si lavora di meno. Se i nostri giornalisti confondono la causa con l’effetto per blandire i loro lettori, i nostri pessimi politici sono solo il secondo dei nostri problemi. C’è altro aspetto che è importante sottolineare. La riduzione dell’orario di lavoro non è, ripetiamolo, non è una soluzione al problema della disoccupazione. Posso capire sia contro intuitivo per un bambino di dieci anni. Il fatto è noto a qualsiasi economista serio (cioè quelli che non appaiono mai o quasi mai in tv). Questo è vero a meno che non si sia disposti a guadagnare tutti di meno (o a pagare più tasse per far sì che lo stato indennizzi le imprese), nel qual caso vi assicuro che può funzionare. Questo è vero checché ne dicano personaggi come il sociologo De Masi, il presidente dell’INPS Tridico (delle cui dichiarazioni imbarazzanti si sta perdendo il conto) o il comico Grillo. È vero qualunque cosa pensi Enrico Mentana che nel pubblicare l’articolo di Open nella sua bacheca Facebook ha commentato tra il dubbioso e lo speranzoso: “Lavorare meno lavorare tutti?”.
Un’ultima cosa ha attirato la mia attenzione. Alcuni quotidiani nel riportare la smentita della notizia (a onor del vero l’hanno data quasi tutti), si sono quasi incaponiti nel sostenere che l’idea è comunque buona e praticabile. Come dire che la notizia era falsa ma attuabile. È il caso del Corriere della Sera. In quest’articolo il giornalista esordisce con un romantico e struggente:
“Ci avevamo creduto un po’ tutti. Il programma era bello e ci aveva fatto sognare”
Capito? Perché dovremmo usare il senso critico? Se una riduzione generalizzata dell’orario di lavoro del 40% fa sognare perché dovremmo rifletterci più di tanto? Diamola in pasto ai nostri lettori senza alcuna analisi o strumento di comprensione.
Più avanti nello stesso articolo si legge:
“Ma la giornata lavorativa di 6 ore esiste…”.
Insomma è tutto vero anche se non è vero, continuiamo a far sognare la gente. Per sostenere questa tesi si riporta l’esempio della Danimarca, dove l’orario di lavoro è fissato a 7 ore e mezza giornaliere (cosa un po’ diversa da 6 ore e cosa ancora più diversa da 6 ore per 4 giorni). Inoltre si presentano alcuni casi e sperimentazioni limitati che, come abbiamo già visto, sono plausibili ma vanno indagati e spiegati in modo preciso. Alcuni dei casi riportati sono, tra l’altro, caratterizzati da una riduzione dello stipendio mentre non sono riportati i più noti casi in cui questo genere di sperimentazioni ha fallito (guai a dare al lettore una visione corretta della realtà). In particolare uno dei casi su cui si sofferma l’articolo è il Work-Life Choice Challenge Summer 2019 di Microsoft. Microsoft nell’estate del 2019 ha sperimentato per un mese la settimana lavorativa di 4 giorni nella sua filiale di Tokyo. È chiaro? Non tutti i dipendenti Microsoft del mondo ma solo quelli di Tokyo. Ovviamente per il Corriere e per tutti gli altri giornali è stato un successo senza precedenti: risparmio di energia elettrica del 23%, lavoratori soddisfatti in misura del 92%, meno 58% delle pagine stampate e, udite udite, produttività aumentata del 40%. Fortunatamente avevo approfondito la notizia qualche giorno fa per mia curiosità e le cose vanno un po’ ridimensionate.
1) Innanzitutto si tratta di un settore e di un’azienda molto particolari (provate a farlo in una catena di montaggio o in un ospedale e vedrete che dovrete assumere per forza nuovo personale).
2) Si tratta di un esperimento limitato che Microsoft ripeterà ma che evidentemente non ha convinto così tanto da poter essere esteso senza se e senza ma in tutti gli stabilimenti e le filiali di Microsoft.
3) Come si può leggere dal report di Microsoft (è in giapponese e dovrete usare un programma di traduzione), l’aumento di produttività del 40% è relativo al solo parametro delle vendite del mese di agosto 2019 rispetto al mese di agosto del 2018. Nel report si specifica inoltre che questo aumento non si può ascrivere superficialmente alla riduzione oraria, in quanto dipende anche da altri fattori. In particolare dipende dalla migliore implementazione di nuovi strumenti per aumentare la produttività (stiamo parlando di Microsoft non scordatelo). La cosa si potrebbe arguire anche dalla sproporzionata diminuzione delle stampe del 58% che non avrebbe altra spiegazione plausibile.
4) Ci sono state criticità nei rapporti con i clienti a causa del giorno di chiusura e i risultati sono stati disomogenei a seconda del dipartimento specifico (come si è ripetuto più volte in queste sperimentazioni il tipo specifico di attività lavorativa può fare la differenza).
Per concludere si deve ribadire che credere che il primo ministro finlandese avesse fatto quelle dichiarazioni è perdonabile. Credere che una riduzione generalizzata dell’orario di lavoro del 40% a parità di salario fosse attuabile e riportare la notizia acriticamente non lo è.
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