Il pessimo articolo di Open su Soros (ma in bocca al lupo comunque)

di Elio Truzzolillo

Pubblicato il 2018-12-20

Preliminarmente e senza ipocrisie vorrei porgere il mio personale in bocca al lupo al nuovo giornale di Mentana. Seguo e stimo alcune delle persone che ci lavorano e gli auguro tutto il bene possibile. Però… un brutto articolo rimane un brutto articolo e può essere anche indice del posizionamento di una testata su certi temi, specialmente …

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Preliminarmente e senza ipocrisie vorrei porgere il mio personale in bocca al lupo al nuovo giornale di Mentana. Seguo e stimo alcune delle persone che ci lavorano e gli auguro tutto il bene possibile. Però… un brutto articolo rimane un brutto articolo e può essere anche indice del posizionamento di una testata su certi temi, specialmente se l’articolo non è firmato ed è quindi presumibilmente riferibile al direttore responsabile (Massimo Corcione). Sia chiaro, ogni posizionamento sarebbe legittimo, ma altrettanto legittimo sarebbe criticarlo. Non esiste, infatti, l’imparzialità assoluta, e nessuno la pretende, specie su temi squisitamente politici.

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Ci riferiamo all’articolo con cui Open commenta la decisione del Financial Times di attribuire il premio di uomo dell’anno al finanziere George Soros. L’articolo è stato condiviso da Enrico Mentana su Facebook con un eloquente “Not in my name”, un commento forse più adatto alla decisione di un governo di togliere i diritti civili ai Rom. In sostanza l’autore ammette che le posizioni dei populisti/sovranisti possono fare discutere (che grande concessione) “ma lo stesso si può dire delle scelte fatte dagli europeisti liberali”. Il problema sarebbe che Soros è l’emblema di ciò che i sovranisti combattono (e chi se ne frega non ce lo vogliamo mettere?). L’articolista fa presente che Soros è odiato in quanto finanziere speculativo (qualcuno mi faccia dei nomi di finanzieri non speculativi), nemico giurato dei russi (mica un bravo e diligente fan di Putin eh), favorevole all’immigrazione (che brutta persona), finanziatore di ONG e pure di religione ebraica. Bene, se questi sono i motivi per cui i sovranisti lo odiano, comincia a essermi già un po’ simpatico. Per l’articolista il premio a Soros sarebbe un regalo di Natale ai dietrologi di mezza Europa. Capito? Se i sovranisti/complottari sono convinti che Soros, i Rothschild e il gruppo Bilderberg siano la causa di tutti mali del pianeta, non si può mica controbattere. Se sono convinti che Soros stia mettendo in atto il fantomatico piano Kalergi per mischiare la sacra razza europea con la feccia africana, con lo scopo di creare una nuova razza più docile (sì, sono queste le boiate che condividono), non gli possiamo dire che non siamo d’accordo, altrimenti s’incazzano e facciamo un autogoal (vedi titolo dell’articolo). Come si permette uno dei giornali più antichi e autorevoli del mondo di ribadire simbolicamente certi valori di razionalità, apertura e integrazione? Not in my name? Cosa diavolo intende Mentana? È il caso di riportare alcune motivazioni con cui il Financial Times ha conferito il premio usando l’ottima traduzione de Il Post:

“Per più di trent’anni ha usato la filantropia per combattere l’autoritarismo, il razzismo e l’intolleranza. Attraverso il suo lungo impegno a favore dell’apertura, della libertà di stampa e dei diritti umani, si è attratto il disprezzo dei regimi autoritari e dei populisti e nazionalisti che continuano a guadagnare terreno, soprattutto in Europa”.

Tra questi regimi vi sono la Russia di Putin, l’Ungheria di Orban (lo stesso Orban che fu protetto da Soros sotto il regime comunista), la Bielorussia, il Turkmenistan e il Kazakistan. Questi valori fanno incazzare i populisti/sovranisti? Ce ne faremo una ragione. Ovviamente il miliardario e filantropo è mal visto anche da Donald Trump e dal nostro Salvini, che attribuisce ai “finanzieri alla Soros” oscure manovre sullo spread e un losco piano per portare più immigrati in Italia. Soros è il nemico giurato della destra nazionalista, anti semita, razzista e protezionista, e, ovviamente, di quella sinistra anti capitalista e anti mercato che con questa destra va a braccetto (l’Italia è il primo paese che mi viene in mente tanto per dire). Il Financial Times spiega chiaramente che questa volta non si è voluto premiare un uomo per i risultati raggiunti durante l’anno in corso, ma un simbolo di valori che vengono messi in discussione, una scelta di resistenza contro quei disvalori che oggi sembrano avere tanto successo. D’altronde stiamo parlando di una testata giornalistica non di un partito o un’istituzione politica a cui si potrebbe consigliare più prudenza (sto cercando di seguire il ragionamento insulso dell’articolista ma non mi riesce).

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In ogni caso lo sappiamo perché Soros è tanto odiato anche in Italia, è per via di quella famosa manovra speculativa sulla lira del 1992. In un paese dove neppure le élite riescono a capire e ad accettare il normale funzionamento dei mercati finanziari, non stupisce che un singolo finanziere venga accusato di avere messo in difficoltà una moneta per capriccio e avidità. Bisogna davvero non avere chiari nemmeno i fondamentali per credere una cosa del genere. Enrico Mentana, purtroppo, è uno dei tantissimi che questi meccanismi non li ha proprio capiti. D’altronde se la nostra classe dirigente (in senso lato) li avesse capiti, uno come Salvini prenderebbe sonore pernacchie in ogni dove per certe dichiarazioni assurde. A tal proposito mi permetto di segnalare un post dell’ottimo Massimo Fontana che spiega in modo semplice e accessibile cosa successe in quel lontano 1992. Quindi che significa quell’articolo? E, soprattutto, che significa quell’espressione grave e solenne usata da Mentana? Ora, io non ho particolari simpatie o antipatie personali verso Soros, ma se il Financial Times intendeva celebrare e difendere (come ha scritto) l’anti autoritarismo, lo stato liberale, l’anti razzismo, la libertà di stampa, l’integrazione e i diritti umani, come si fa a scrivere “Not in my name”? Espressione che di solito si usa per denunciare qualcosa di radicalmente inaccettabile? Ammetto che la cosa significhi poco, ma segnalo che Libero ha titolato “L’ultima buffonata del Financial Times”, Il Giornale “Premiato perché ci fa invadere”, Diego Fusaro ha scritto… vabbè avrete capito quello che intendo. Spero che Open non miri allo stesso pubblico, ma, soprattutto, spero che entri nella testaccia dura di noi italiani un nucleo minimo di nozioni economiche, altrimenti finisce sempre che i Soros sono il diavolo, i mercati il loro strumento e Di Maio e La Castelli la nostra speranza.

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