Nadia Toffa e il cancro come dono

di Giovanni Drogo

Pubblicato il 2018-09-24

La Iena ha annunciato di aver pubblicato un libro dove racconta come vivere il cancro come “un dono” e subito molti sono insorti spiegando che si tratta di un inutile messaggio motivazionale e che la Toffa non si deve permettere perché ci sono persone che soffrono. Ma chi vuole raccontare la sua malattia può e deve farlo

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Nadia Toffa ha scritto un libro in cui racconta la sua vita da quando, il 21 dicembre 2017 ha scoperto di avere un tumore. La giornalista delle Iene non ha mai nascosto di avere un cancro, ora ha deciso di raccontare come ha vissuto la sua malattia. Su Instagram la conduttrice ha spiegato che in questo libro spiega «come sono riuscita a trasformare quello che tutti considerano una sfiga, il #cancro, in un dono, un’occasione, una opportunità». La Toffa ha aggiunto un invito agli altri malati «Non sospendiamo la vita per colpa del cancro, non diamogliela vinta. Bisogna sorridere sempre perché noi siamo più forti. Trasformare il cancro in un dono è possibile».

Il libro di Nadia Toffa sul suo cancro

La battaglia non è finita, come scrive la Iena «Non si sa chi vincerà. Vivendo lo scoprirò controllo dopo controllo tra qualche anno. Chi ha il cancro sa di cosa parlo». Ed è probabilmente da questa constatazione che la Toffa è partita per raccontare la sua esperienza. Non è un libro di consigli medici, non è il libro che spiega qual è l’unico modo per affrontare la malattia. È un libro dove una persona malata di cancro racconta come sta affrontando la sua malattia.

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Come prevedibile si è scatenata la solita rissa nei commenti per “spiegare” alla Toffa che sta “lucrando” sulla sua malattia (perché il libro non è gratis, sconvolgente) e che sta illudendo altri malati facendo credere che con la sola forza di volontà e il sorriso si possa affrontare anche una malattia terribile come il cancro. Ma non è così, perché pur non avendo letto il libro sappiamo che Nadia Toffa non si è curata da sola con il “pensiero positivo”. La Iena ha parlato spesso del suo tumore, dell’operazione chirurghica cui si è sottoposta, dei cicli di chemioterapia e di radioterapia. Non la si può certo accusare di aver allontanato i pazienti da cure mediche evidence based.

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Dopo tutto questo ha scelto di reagire in un modo che le è proprio, tornando a fare televisione e a condurre le Iene. A completamento di questa prima parte di percorso ha voluto anche scrivere un libro. Non è certo la prima malata di cancro a sentire il bisogno di riappropriarsi dell’elemento biografico della malattia, di poter scrivere qualcosa su quello che le è successo per non lasciare che la sua storia venga raccontata dalla malattia stessa e dalle cartelle cliniche.

Diversi modi di raccontare e vivere la malattia

La creazione del corpo del malato da parte del medico e degli strumenti diagnostici è un procedimento inevitabile del percorso terapeutico che però rischia di far scomparire il paziente e la visione che ha della malattia (intesa come ilness) in favore di una visione unicamente organica (intesa come disease) dando luogo ad una serie di fraintendimenti che rischiano di portare il medico a considerare il paziente e il suo corpo come un esempio della malattia e non nella sua individualità contestualizzandola in una narrazione biografica. Il libro della Toffa si inserisce in quel filone letterario che in antropologia viene chiamato illness narrative. La malattia, qualsiasi malattia, ha una sua struttura narrativa che – pur non essendo un testo chiuso – si compone di un insieme di storie; ad esempio c’è quella narrata dagli esami diagnostici, dai referti, quella vissuta dal paziente, quella vissuta dai suoi famigliari e quella vissuta dall’equipe medica.

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Non tutti vivono la malattia allo stesso modo. Il fatto che per Nadia Toffa il cancro sia stato un “dono” è un’opinione soggettiva che riguarda la sua malattia. Non è poi nemmeno una cosa così bizzarra, quante volte la Chiesa ha rimarcato il valore del “dono della sofferenza” e della malattia come “prova” ma anche come dono e non punizione? Il fatto che scriva cose che a molti possono sembrare stucchevoli new age (quando sono l’essenza del cattolicesimo) come «il cancro lo superi vivendo ogni giorno e non sospendendo la vita se no hai perso fin dall’inizio» più che riflettere la volontà di spiegare come guarire con la forza di volontà rispecchia la volontà di non arrendersi all’idea che il cancro sia una punizione o una colpa. È un modo di reagire, ma non è l’unico modo. Per Nadia Toffa però è la strada da seguire, perché la sua esperienza le ha fatto percorrere quella strada (e non sappiamo a quali bivi si sia trovata).

No, non è obbligatorio pensarla come Nadia Toffa

C’è però chi fa fatica a scindere il personaggio pubblico dalla persona, il suo ruolo all’interno delle Iene con la sua condizione di paziente oncologico. Il che non vuol dire “poverina, è malata, lasciamola dire”. Altrimenti non avrei mai scritto un articolo come questo. L’argomento è delicato, non serve ricordarlo, perché il cancro è una malattia che spesso non lascia scampo e chi muore non muore perché non ha capito qual era il “potenziale” trasformativo del cancro sulla propria vita.

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Quello che Nadia Toffa ha da dire sulla sua malattia (e sul cancro in generale) non sarà certo una straordinaria rivelazione e non andrà certo ad arricchire gli annali della ricerca scientifica sul cancro. Purtroppo molti hanno vissuto una situazione simile (ma non uguale) o conoscono persone che sono malate di cancro. Alcune di quelle persone oggi hanno deciso che bisogna attaccare la Toffa, non tanto per quello che ha scritto ma per quello che rappresenta (le Iene e compagnia cantante). Oppure che non può esprimersi in certi termini perché è facile dire che il cancro è un dono se non muori.

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Altri non hanno gradito gli appelli “motivazionali” detti da una persona che non fa parte della “gente comune”, di quelli che anche quando si tratta di curarsi fanno fatica perché non ne hanno la possibilità, figuriamoci se hanno il tempo di pensare al “dono” ricevuto. Magari quel dono però è semplicemente la scoperta di non essere soli, di avere persone che si prendono cura di te e non ti abbandonano perché sei malata. E non c’è nulla di strano se non tutti gradiscono l’entusiasmo della Iena, perché mica vero che l’entusiasmo è contagioso. Anzi a volte dà proprio fastidio. Ma questo non esime il pubblico e i lettori dal rispettare la scelta di una persona come la Toffa. Non perché è malata e quindi intoccabile e non criticabile, ma proprio perché non c’è un modo sbagliato di affrontare il cancro (al di là delle cure mediche). Quindi fintantoché un lettore del libro non scoprirà che nel libro della Iena c’è scritto che si può guarire dal cancro bevendo unicamente acqua solforosa e guardando le repliche dei Teletubbies mandando a quel paese medici e infermieri il libro di Nadia Toffa forse potrà essere utile a qualcuno. Magari non ad un paziente, che si sarà fatto una sua idea sulla sua malattia ma ai suoi famigliari o amici che così potranno comprendere aspetti non detti.

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