Fact checking
Il metodo Rocco
di Alessandro D'Amato
Pubblicato il 2018-09-23
La carriera del portavoce di Conte nel M5S è stata fulminante e piena di successi (interni): quello che ha mostrato nell’audio è il Metodo Rocco. Che è in funzione già da molto tempo. Anche se qualcuno nel M5S fa finta di niente
«Sono pseudo-attivista da pochi giorni. È per via di un blocco mio psicologico, la paura di non essere accettato da un gruppo prestabilito. Anche se non sembra sono timido»: così rispondeva, ricorda Matteo Pucciarelli su Repubblica, Rocco Casalino nella graticola riservata ai candidati del MoVimento 5 Stelle in Regione Lombardia, nell’esordio flop della sua carriera nel M5S.
Il metodo Rocco
Il buongiorno a volte non si vede dal mattino e Casalino ha scelto un’altra strada per fare carriera nel MoVimento 5 Stelle. Da commentatore di gossip e tv di riviste come Vero, si è velocemente riciclato in uomo della comunicazione conquistandosi con le sue capacità la fiducia di Gianroberto Casaleggio; il primo passo fu la nomina tra i responsabili della comunicazione del M5S in Parlamento all’epoca in cui della squadra facevano parte anche Silvia Virgulti, Nicola Biondo e Claudio Messora. Una squadra che presto andò sfaldandosi proprio per le divergenze nella gestione della comunicazione: Messora fu mandato in Europa subito dopo le elezioni e da lì finì presto in contrasto con i pesi massimi del M5S di Bruxelles e finì giubilato.
Biondo fu salutato prima della scadenza del contratto e poi scrisse insieme a un altro ex della Casaleggio Associati, Marco Canestrari, Supernova, libro che fece luce su molti lati oscuri della storia del M5S prima e dopo la morte di Gianroberto. «Ha talento — racconta oggi Biondo a Repubblica — ma si è imposto dentro un Matrix fatto di menti deboli, utilizzando metodi feroci». Questi “metodi feroci” sono noti: «Chi ad esempio tra i giornalisti sgarra con lui viene messo nella sua lista nera e gli si tagliano i “viveri”: spin, notizie, ospitate e ricostruzioni. Lo dico perché è successo anche a me, quando riuscì a farmi escludere insieme a Marco Canestrari da una trasmissione di punta della Rai».
Meglio essere temuti che amati
In omaggio al principio secondo il quale è meglio essere temuti che amati, Casalino ha governato non solo la comunicazione del M5S ma soprattutto la disciplina all’interno del gruppo. Su mandato di Beppe e Gianroberto prima e di Davide e Di Maio poi, gestendo con il pugno di ferro nel guanto di velluto anche il “dissenso” M5S, che notoriamente è di breve durata e spesso affidato a personaggi improbabili che finiscono spesso per rendere ridicolo il dibattito interno. Dopo le elezioni europee ha imposto la svolta televisiva al MoVimento 5 Stelle, gestendo le ospitate con la gentile collaborazione dei responsabili dei talk show italiani: interviste apparecchiate e in solitudine, ospite unico davanti al conduttore e niente dibattito con gli avversari politici. La strada ha funzionato anche e soprattutto grazie all’incapacità di far seguire le regole per la par condicio in RAI, che ha aiutato anche le altre tv ad adeguarsi.
Secondo il M5S, l’audio incriminato è stato spedito via WhatsApp a due giornalisti dell’Huffington post, Alessandro De Angelis e Pietro Salvatori. Che replicano negando di averlo diffuso. E il direttore Lucia Annunziata scrive a Conte: «Portiamo tutto davanti a un giudice». Casalino ieri si è scusato, ma solo per il linguaggio, «si tratta di una conversazione privata espressa in termini coloriti. Non c’era nessun proposito da perseguire in concreto». E ha attaccato: «La pubblicazione viola il principio costituzionale di tutela della riservatezza delle comunicazioni e le più elementari regole deontologiche».
La pubblicazione viola la privacy di Casalino
In effetti aver fatto girare un messaggio audio inviato in privato che riportava evidentemente informazioni off the record non è stato corretto. Soprattutto, visto che un articolo che raccontava dell’insofferenza del M5S nei confronti dei tecnici del MEF era stato già pubblicato da Tommaso Ciriaco su Repubblica, il brivido dell’esclusiva era ormai bruciato. Non si capisce davvero il motivo che ha mosso chi ha fatto circolare il messaggio, se è stato davvero un giornalista come accusa il M5S: sputtanare una fonte coperta non è una scelta corretta dal punto di vista professionale, a meno che non ce ne sia grave necessità.
La parte più divertente della vicenda è ovviamente la pletora di giustificazioni partita dall’ala governativa del M5S nei confronti del Metodo Rocco: “Così fan tutti”, hanno gridato in coro i grillini, coadiuvati stamattina anche dal direttore del Fatto Marco Travaglio, che ha giustamente ricordato quando il portavoce di Renzi Filippo Sensi ha inviato un messaggio su Whatsapp ai giornalisti invece che agli eletti del Partito Democratico chiedendo di attaccare Di Battista sull’ISIS. Vero, così fan tutti: tutti cercano di usare i media per mandare messaggi trasversali senza metterci la faccia. Anche il M5S. Con tutto ciò che ne consegue riguardo alle balle sul rinnovamento della politica che avrebbero portato i grillini. Ma i più divertenti sono gli eletti che invece criticano Casalino: «Lui è il portavoce del premier ,non può parlare a nome nostro. È molto grave che vengano fatte affermazioni per conto del gruppo», ha detto Luigi Gallo al Corriere. Il povero senatore evidentemente ancora non si è accorto che dal 2013 Casalino parla a nome del M5S in quanto emanazione dei vertici non-eletti, ai cui diktat in materia politica, tecnica, disciplinare il senatore Gallo si è piegato (perché altrimenti si sarebbe dovuto scordare la poltrona). Adesso si è accorto che non si può fare. Buongiornissimooooo!!1 Cafféééééé?
EDIT: Carlo Melzi d’Eril e Giulio Enea Vigevani sul Sole 24 Ore dicono che la pubblicazione non è illegale:
L’audio è stato inviato direttamente dal portavoce ai giornalisti, sicché la raccolta sembra legittima. È infatti lo stesso interessato a fornire il dato personale, anzi proprio la registrazione della sua voce, sulla quale una volta “inviata” ai cronisti non può certo essere posto il veto di pubblicazione oppure una sorta di vincolo al trattamento, come ad esempio sembra affermare proprio il politico quando chiede che la notizia sia diffusa come «fonte parlamentare».