Matteo Renzi e lo spread che fa salire i mutui

di Mario Neri

Pubblicato il 2018-05-26

Mentre Lega e M5S vanno allo scontro con il Quirinale, Matteo Renzi torna a esternare su Facebook andando all’attacco di Salvini e Di Maio e imputando loro colpe ben precise: “Dai prossimi giorni – infatti – i mutui per le famiglie costeranno di più, l’accesso al credito per le piccole imprese sarà più difficile e …

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Mentre Lega e M5S vanno allo scontro con il Quirinale, Matteo Renzi torna a esternare su Facebook andando all’attacco di Salvini e Di Maio e imputando loro colpe ben precise: “Dai prossimi giorni – infatti – i mutui per le famiglie costeranno di più, l’accesso al credito per le piccole imprese sarà più difficile e pagheremo di più gli interessi sul debito pubblico”.

matteo renzi spread mutui

In realtà lo spread, cioè il differenziale di rendimento tra i BTP e BUND, strumento che serve a calcolare il rischio-paese, che si considera in aumento quando il differenziale aumenta e in diminuzione quando diminuisce, non influenza direttamente i mutui dei cittadini che sono basati di norma su un altro tasso, ovvero l’Euribor se a tasso variabile, l’Eurirs se a tasso fisso. È giusto poi sostenere che l’accesso al credito per le piccole imprese sarà più difficile (se ovviamente questo trend continua), ma per questioni differenti e non correlate allo spread (le banche dal 2018 fanno i conti con i principi contabili IFRS9). Questo perché i titoli di lunga scadenza che le banche hanno in pancia, a tasso fisso, hanno un deprezzamento. Che incide sui bilanci, già provati, in tema di accantonamenti, dall’introduzione di IFRS9. In questo caso l’allargamento del differenziale tra Btp e Bund potrebbe scoraggiare le banche a erogare prestiti a famiglie e imprese, che potrebbero rivedere al rialzo gli interessi chiesti sui NUOVI mutui.

paolo savona spread 1

Vero, infine, che si pagheranno maggiori interessi sul debito pubblico, ma, spiega oggi Marco Palombi sul Fatto, l’eventuale aumento dei rendimenti riguarda solo i nuovi titoli emessi: “secondo una stima a spanne, ogni punto percentuale di crescita degli interessi costa circa 2 miliardi l’anno (per poi salire un po’nel tempo).Il debito italiano, peraltro, oggi ha durata media piùlunga rispetto al 2011 e questo consente di gestire meglio le aste”. Dino Pesole sul Sole 24 Ore di oggi spiega che nel caso in cui – stima l’Ufficio Parlamentare di Bilancio – si verificasse uno shock di 100 punti base su tutta la curva dei rendimenti (a partire da gennaio 2018 e per tutto il periodo di previsione del Def, quindi fino al 2020), la spesa per interessi crescerebbe di circa 1,8 miliardi nel primo anno, 4,5 miliardi nel secondo e 6,6 miliardi nel 2020. Di conseguenza, il fabbisogno crescerebbe di 0,1, 0,3 e 0,4 punti di Pil. A conclusioni non molto differenti perviene Carlo Cottarelli: se per ogni punto percentuale (100 punti base) di aumento dei tassi si producesse un incremento di pari dimensione del costo medio di finanziamento per imprese e cittadini, si avrebbe ogni anno un costo aggiuntivo di 1,8-2,8 miliardi. Nello scenario peggiore (spread di 500 punti base) l’impatto su famiglie e imprese sarebbe compreso tra 9,1 e 14,1 miliardi di euro di interessi aggiuntivi.

Leggi sull’argomento: La Resistenza del Quirinale al governo Lega-M5S

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