Maria Giovanna Maglie insulta Pierò Pelù solo perché indossa una maglietta lgbt+

di Asia Buconi

Pubblicato il 2022-08-07

Tutto è nato da una maglietta a sostegno della libertà dell’identità di genere, indossata dal rocker lo scorso 30 giugno in occasione del mese del pride

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È scontro aperto tra Piero Pelù e la giornalista Maria Giovanna Maglie. Tutto è nato da una maglietta a sostegno della libertà dell’identità di genere, indossata dal rocker lo scorso 30 giugno in occasione del mese del pride. “Sono uomo, sono donna, sono lesbo e sono gay”, queste le parole scritte sulla t-shirt dello scandalo, che hanno sollevato subito le voci polemiche dei molto suscettibili sostenitori di Giorgia Meloni.

Già, perché nel vorticoso caos della campagna elettorale in corso quelle parole sono subito state interpretate come un velato attacco alla leader di FdI, una sorta di fastidioso riferimento all’ormai noto discorso/tormentone “Io sono Giorgia, sono una donna…”. La foto, infatti, è tornata a far discutere dopo la condivisione su Twitter di Max Del Prete, che l’aveva commentata con un eloquente “Un uomo?”. Poi, a intervenire è stata Maria Giovanna Maglie, che di certo non è nuova al turpiloquio. La giornalista si è espressa sulla t-shirt indossata da Piero Pelù su Twitter scrivendo: “Sono un gran cogl**ne”. Ancora nessuna replica da parte del rocker al raffinatissimo commento della Maglie, che nei giorni scorsi si era distinta pure per le sue ardite tesi sull’inesistenza del razzismo in Italia, sollevate in merito all’omicidio di Alika Ogochukwu, il venditore ambulante di orgini nigeriane ucciso in strada a Civitanova Marche.

Maria Giovanna Maglie: le tesi sull’inesistenza del razzismo in Italia

Maria Giovanna Maglie, ospite a Controcorrente su Rete 4, aveva detto: “Trovo estremamente pericolosa la commistione tra accuse di razzismo e la vicenda di un omicidio efferato ma comune come quella di cui state parlando. Sì è stato ucciso un nigeriano, ma poteva essere ucciso anche un mendicante svedese da un uomo che era stato cacciato dal lavoro per i suoi gesti di violenza, diagnosticato come bipolare/borderline e con un tutore a 100 km di distanza. In questo paese del cavolo, nel quale troviamo un pretesto psicologico per qualunque fidanzato che ammazza la fidanzata, qualunque marito che ammazza la moglie e la mamma il figlio, insomma troviamo per tutti una giustificazione, qua invece ci stiamo interrogando sul razzismo – continua la giornalista – Questo non è un paese razzista secondo la mia scandalosa opinione. No, Alika non è il nostro Floyd, non è un nero soffocato da un poliziotto violento, è un mendicante ucciso da uno psicopatico, certo nell’indifferenza di un paese troppo assuefatto alla violenza”.

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