Marco Cappato indagato per istigazione al suicidio dopo l’autodenuncia

di Asia Buconi

Pubblicato il 2022-08-04

Questa la decisione del procuratore aggiunto di Milano Tiziana Siciliano: ecco di cosa è accusato il tesoriere dell’Associazione Luca Coscioni

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Marco Cappato è stato iscritto al registro degli indagati con l’accusa di istigazione al suicidio: questa la decisione del procuratore aggiunto di Milano Tiziana Siciliano, dopo la trasmissione in procura della denuncia presentata mercoledì da Cappato stesso.

Un’autodenuncia per il reato di aiuto al suicidio è stata presentata dal tesoriere dell’Associazione Luca Coscioni ieri alle 11,15 dalla caserma dei carabinieri di via Fosse Ardeatine, a Milano. La fattispecie è prevista dall’articolo 580 del Codice penale e prevede pene fino ai 12 anni di reclusione, dato che il caso della pensionata 69enne accompagnata in Svizzera non rientra tra quelli contemplati dalla Corte Costituzionale, in quanto la donna non era tenuta “in vita da trattamenti di sostegno vitale”.

Perché Marco Cappato si è autodenunciato e cosa succede adesso

In Italia, il suicidio assistito è disciplinato dalla sentenza della Corte Costituzionale del 25 settembre 2019, che di fatto ritene non punibile “ai sensi dell’articolo 580 del codice penale, a determinate condizioni, chi agevola l’esecuzione del proposito di suicidio, autonomamente e liberamente formatosi, di un paziente tenuto in vita da trattamenti di sostegno vitale e affetto da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche e psicologiche che egli reputa intollerabili ma pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli”.

Si tratta della sentenza che ha evitato che Marco Cappato finisse in carcere nel 2017 per l’aiuto prestato al dj milanese Fabiano Antoniani, detto Fabo: in breve, la Corte stabilì che chi aiuta al suicidio non è punibile ai sensi dell’articolo 580 del codice penale a determinate condizioni. Proprio in nome di tale sentenza, la Corte d’Assise di Milano il 23 dicembre 2019 ha assolto Marco Cappato. Poi l’altra assoluzione, nel 2020, per aver aiutato a morire il malato di sclerosi multipla Davide Trentini, non tenuto in vita da macchinari ma che riceveva il trattamento di sostegno per le cure farmacologiche.

Oggi, però, le cose potrebbero essere molto diverse per il tesoriere dell’Associazione Luca Coscioni. La 69enne veneta a cui ha prestato aiuto, infatti, manca del primo requisito previsto in via giurisprudenziale, ovvero quello di essere “tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale”. Per questo motivo, ora più che mai, l’atto di Marco Cappato si caratterizza come una nuova e importante forma di disobbedienza civile, che potrebbe portare in Italia a conquiste decisive in tema di suicidio assistito.

 

 

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