«Così la Lombardia tarocca i dati sui positivi»

di Alessandro D'Amato

Pubblicato il 2020-05-29

Dopo le accuse di ieri anche Galli e Ricciardi dicono che il Pirellone fa pochi tamponi. I numeri ballerini su decessi e guariti. E le ATS che fermano i privati sui test sierologici

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«Se andiamo a guardare il numero di tamponi diagnostici, la Lombardia ne fa una percentuale di poco superiore rispetto a quella nazionale. Bisognerebbe tracciare e isolare molte più persone perché altrimenti si entra nel loop della persistenza del contagio»: Nino Cartabellotta della Fondazione Gimbe ieri a Otto e Mezzo è tornato ad accusare la Regione che ha annunciato una querela nei suoi confronti.

La Fondazione Gimbe e la Lombardia che non fa i tamponi diagnostici

Ma la parte curiosa della vicenda è che anche Massimo Galli, infettivologo dell’ospedale Sacco di Milano, in un’intervista a La Stampa dice esattamente la stessa cosa e chiama in causa anche il Piemonte: «Di certo la Regione non ha tutti gli elementi che dovrebbe avere. Se non fai abbastanza tamponi è possibile che l’attendibilità o la riproducibilità dei tuoi dati ne risenta, e vale per molte regioni. È una questione molto lombarda, ma non soltanto. Diciamo che dipende dalla rilevanza dell’infezione. In Lombardia è più evidente anche perché è una regione sotto i riflettori. In Piemonte per esempio per settimane si è fatto poco per limitare l’epidemia. Così pure altrove». Il Corriere della Sera oggi riepiloga le accuse al sistema sanitario lombardo:

Uno: la percentuale di positivi al giorno è più alta di quella che viene comunicata. Per capire la reale incidenza dei nuovi casi sul numero di tamponi eseguiti non bisogna prendere, come invece viene fatto nei comunicati quotidiani, il totale dei tamponi, ma solo dei «diagnostici», escludendo cioè quelli eseguiti per confermare la guarigione. Nel periodo indicato la percentuale di tamponi diagnostici positivi in Lombardia (6%) è superiore alla media nazionale(2,4%).

Due: il numero dei positivi è potenzialmente sottostimato perché manca ancora un tamponamento massiccio. I tamponi «diagnostici» per 100 mila abitanti in Lombardia sono 1.608, poco sopra la media nazionale di 1.343. Ora, siccome per trovare il virus lo devi cercare, la domanda sollevata da Gimbe è: quanti sarebbero davvero i casi se la Lombardia aumentasse i tamponi?

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I tamponi diagnostici nelle regioni (Corriere della Sera, 29 maggio 2020)

Tre: i nuovi casi giornalieri, per 100 mila abitanti, sono il triplo della media nazionale, ma sono i numeri meno noti. L’incidenza di nuovi casi per 100 mila abitanti, rispetto alla media nazionale (32), è nettamente superiore in Lombardia (96). Conclusione di Cartabellotta: «La curva del contagio non è adeguatamente sotto controllo».

Quattro: la Lombardia sovrastima i guariti perché li comunica assieme ai dimessi di cui non ènoto lo status di guarigione. Ciò fa sì che i 24.037 oggi potenzialmente infetti in realtà possano essere di più.

In più anche Walter Ricciardi stamattina in un’intervista a Repubblica senza fare nomi dice che i dati che provengono dalle Regioni non sempre sono attendibili. A Radio24 Cartabellotta aveva detto ieri mattina: «C’è il ragionevole sospetto che le Regioni stiano “facendo magheggi”per non dovere richiudere. La Lombardia è una di quelle». Accuse che laRegione definisce “gravissime, offensive e soprattutto non corrispondenti al vero”, chiamando a testimone l’Istituto superiore di sanità, che quei dati ha validato, e annunciando querela.

«Così la Lombardia tarocca i dati sui positivi»

Chi ha ragione? Il Fatto Quotidiano scrive oggi in un articolo a firma di Marco Palombi che quanto al retropensiero (tengono giù i contagi per poter riaprire) non si sa, sulle stranezze non c’è da discutere: a stare solo agli ultimi giorni abbiamo avuto i “decessi zero” di domenica che non erano zero (visto che almeno tre persone erano morte proprio quel giorno) e soprattutto l’asterisco nella slide di mercoledì in cui – scritto piccolissimo – si diceva che ai 216 contagi dichiarati ne andavano aggiunti 168 dovuti a “tamponi effettuati a seguito di test sierologici fatti su iniziativa dei singoli cittadini processati dall’Ats di Bergamo negli ultimi 7 giorni”.

l consigliere regionale del Pd Samuele Astuti è membro della commissione Sanità e ogni giorno produce sul suo sito decine di slide sul Covid-19 in Regione: “La scarsa trasparenza è un fatto incontrovertibile: noi non abbiamo quasi avuto risposte sui nostri accessi agli atti e in questi giorni dobbiamo mendicare i dati sui test sierologici. I database poi sono costruiti male, basti dire che gli esiti dei (pochi) tamponi sono ‘pubblicati’ senza dire a che giorno risale il prelievo. Non solo: manca anche la capacità di leggerli i dati. E dire che in Lombardia abbiamo accademici bravissimi nel settore. Senza buoni database e senza capacità di leggere i numeri semplicemente non si può sapere cosa è giusto fare”.

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Il grafico della Fondazione Gimbe sui tamponi nelle regioni (Corriere della Sera, 24 maggio 2020)

A condire il tutto c’è anche la denuncia del MoVimento 5 Stelle Lombardia: “Ci scrivono in moltissimi per denunciare che le Ats stanno fermando i privati che – di tasca propria hanno prenotato i test sierologici. Motivo: ci sarebbero problemi a fare tamponi, seil test rivelasse la presenza degli anticorpi che segnalano la malattia”. A difendere il Pirellone sul Corriere è Giuseppe Remuzzi dell’Istituto Mario Negri: «Non c’è nessuna evidenza a supporto delle loro affermazioni. La verità è che in Lombardia si sono accumulati molti casi prima che ci si accorgesse della loro presenza. Come accaduto a Wuhan e in altre zone d’Europa». Ma cos’è la Fondazione Gimbe? La Fondazione Gimbe (acronimo di: Gruppo Italiano per la Medicina Basata sulle Evidenze) è presieduta dal medico Nino Cartabellotta. Gimbe, spiega la mission della fondazione, «ha lo scopo di favorire la diffusione e l’applicazione delle migliori evidenze scientifiche con attività indipendenti di ricerca, formazione e informazione scientifica, al fine di migliorare la salute delle persone e di contribuire alla sostenibilità di un servizio sanitario pubblico, equo e universalistico».

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