Ieri, come ogni domenica, su Rai 3 è andata in onda una puntata di Presa Diretta, il programma di inchieste e approfondimenti condotto da Riccardo Iacona. Il tema della puntata era l’educazione sessuale nelle scuole. Dopo mesi di terrorismo via messaggi WhatsApp sui rischi derivanti dall’insegnamento della fantomatica “teoria del gender” e libri pericolosi fatti ritirare da sindaci e giunte regionali ecco che il servizio pubblico ci spiega come stanno realmente le cose e soprattutto ci fa vedere come l’educazione sessuale venga insegnata all’estero, senza che i bambini corrano il rischio di essere omosessualizzati come invece vorrebbe certa propaganda cattolica.
A Presa Diretta ieri si è parlato quindi del DDL Fedeli, della bufala del documento dell’OMS che secondo i genitori preoccupati
La Rai, per rispettare la fascia protetta, mi ha chiesto di posticipare un po’ più avanti il bellissimo racconto di Giulia Bosetti. Una decisione che non condivido perché a mio modestissimo parere questo è un reportage che andrebbe visto da tutti, genitori e figli insieme, talmente è pedagogico. E poi giudicherete voi quando lo manderemo in onda. Ma è una decisione che devo rispettare e so che avrete l’amore e la pazienza di aspettare una manciata di minuti prima di vedere questo bellissimo reportage
E la Rai, quella che anticipava i capodanni, ha deciso che per non turbare i giovani con un reportage che parlava – anche e non solo – di sexting e bullismo ha deciso di far slittare la messa in onda. E il primo paradosso della “censura” morbida della Rai è tutto qui. Si parlava di due tematiche che coinvolgono giovani e giovanissimi, ma ai diretti interessati la Rai ha deciso che la cosa poteva non piacere.
E si capisce il perché, ad esempio il tanto contestato DDL Fedeli ha l’obiettivo di insegnare ai ragazzi il rispetto reciproco proprio al fine di combattere il bullismo.Ecco i due obbiettivi del Disegno di Legge:
La prima, fissare tra gli obiettivi nazionali dell’insegnamento e delle linee generali dei curricoli scolastici la cultura della parità di genere e il superamento degli stereotipi; la seconda, l’intervento sui libri di testo, riconosciuti in tutte le sedi internazionali, come un’area particolarmente sensibile per le politiche delle pari opportunità.
Insomma si tratta di insegnare il rispetto delle diversità (non di inculcare la voglia di essere diversi) per garantire a tutti pari opportunità. Quindi non si tratta di negare le differenze tra uomo e donna. Può davvero essere una cosa così brutta? Andiamo a leggere il testo, Art. 1 Comma 2:
i piani dell’offerta formativa delle scuole di ogni ordine e grado adottano misure educative volte alla promozione di cambiamenti nei modelli comportamentali al fine di eliminare stereotipi, pregiudizi, costumi, tradizioni e altre pratiche socio-culturali fondati sulla differenziazione delle persone in base al sesso di appartenenza e sopprimere gli ostacoli che limitano di fatto la complementarità tra i sessi nella società.
E ancora, l’Articolo 2 prevede che l’insegnamento sia finalizzato a fornire indicazioni agli alunni (tenendo conto delle loro competenze e del livello di maturazione) riguardo:
i temi dell’uguaglianza, delle pari opportunità, della piena cittadinanza delle persone, delle differenze di genere, dei ruoli non stereotipati, della soluzione non violenta dei conflitti nei rapporti interpersonali, della violenza contro le donne basata sul genere e del diritto all’integrità personale.
Ed in fondo l’educazione alle differenze di genere (che non ha nulla a che fare con la fantomatica teoria gender) altro non è che questo: spiegare che le differenze esistono e vanno rispettate. Come ha detto Michela Murgia ieri sera, e come ho spiegato qui “Insegnare il gender” significa letteralmente insegnare che esistono i generi (che esistono i maschi ed esistono le femmine) e questo dovrebbe essere uno dei punti di maggiore interesse per i fautori dell’eterosessualità obbligatoria. invece, con una contorsione teorica e linguistica tutta loro, i family-day-troupers pensano che il gender sia una specie di entità anti-genere. Confondono il discorso sul genere con il discorso sui ruoli sociali e attaccano un po’ a casaccio tutto, mescolando i discorsi, fino a spaventare i genitori meno accorti ed informati. C’è anche da dire che questi sono gli stessi che si passano le copie del libro “sposati e sii sottomessa”, per cui c’è anche da capire che non gli piaccia un discorso in cui maschi e femmine possano godere di uguale rispetto e dignità. Sentire le storie dei ragazzi bullizzati – perché omosessuali, perché non conformi ai canoni estetici, perché diversi – avrebbe davvero potuto turbare i giovani italiani? Probabilmente no. E probabilmente i ragazzi la puntata l’hanno vista lo stesso, o la vedranno in streaming direttamente dal sito della Rai.
L’educazione sessuale in Olanda e Germania a… di next-quotidiano
C’è poi un secondo aspetto “perturbante” della puntata di ieri di Presa Diretta ovvero l’impietoso confronto su come l’educazione sessuale viene insegnata all’estero. In Italia l’educazione sessuale o all’affettività non sono materie curricolari. Certo, in alcuni istituti vengono attivati dei corsi, ma non è così dappertutto e soprattutto l’insegnamento della materia inizia a partire da una certa età in poi, in alcuni casi alle scuole medie, in altri alle superiori. Ben diverso però è insegnare l’educazione sessuale fin dalle scuole elementari come accade ad esempio in Olanda e in Germania. La questione è molto semplice, iniziare un discorso sulla sessualità, sulle differenze di genere e sull’affettività quando gli alunni non sono ancora sessualmente attivi consente di trasmettere il senso del rispetto per l’altro. E Presa Diretta è andata a vedere come si svolgono le lezioni e cosa viene realmente insegnato. Incredibilmente non viene spiegato “come si fa sesso” né tanto meno come ci si masturba, come invece vorrebbero farci credere i genitori preoccupati
Brava @MichelaMarzano a #presadiretta: Se ne deve parlare a scuola perché è a scuola che si diventa cittadini
— valeria fedeli (@valeriafedeli) January 31, 2016
Cosa ha prodotto la mancanza di una forma diffusa di educazione alla sessualità? Senza dubbio i numerosi episodi di ragazzine che vendono i loro video in cambio di una ricarica telefonica o quello delle baby doccia, le ragazze che si concedono ai compagni nei bagni delle scuole durante l’orario di lezione. Gli adulti danno la colpa ai telefonini e a whatsapp (oppure all’Interwebs) ma questi sono solo mezzi. La diffusione di una sessualità banalizzata e senza altro significato che il darsi al maschio di turno (quella delle baby doccia) o comportamenti più rischiosi (i video “hot” delle coetanee scambiati su whatsapp) che sottopongono le vittime – una volta messe alla berlina – all’umiliazione di sentirsi chiamate “troie” o “puttane” da una città intera che le ha riconosciute nel video (perché poi il video lo vedono in molti, anche adulti) è il sintomo di una mancanza di educazione nelle famiglie. Ancora una volta, non in tutte le famiglie naturalmente, ma cosa può fare un genitore di fronte alla pressione sociale dei coetanei sul figlio o sulla figlia? Ecco. Lasciare che la sessualità rimanga un mistero possibilmente fino al momento del matrimonio non è un modello educativo, è una resa. E questa, inutile negarlo, è l’educazione della famiglia tradizionale che non vuole delegare a insegnanti e psicologi (“cosa ne sanno i professoroni”) ma delega tranquillamente al Catechismo e ai preti (notoriamente unici esperti di sessualità). La famiglia è uno dei nuclei fondamentali dell’educazione sessuale, e deve essere coinvolta nelle scelte educative, ma la famiglia non è la società (no, non lo è nemmeno in miniatura) e i figli sono quella particolare categoria di persona che abita sia la famiglia che la società. La famiglia ha tutto il diritto di insegnare i propri Valori con la V maiuscola ma al tempo stesso il solo fatto di essere genitori (è dura ammetterlo) non rende super-esperti di educazione. E la censura morbida della Rai ha forse tolto la possibilità di vedere come altrove l’educazione sessuale possa essere impartita nelle scuole senza nulla togliere alla famiglia.