La storia del video hard della minorenne diffuso su Internet e Whatsapp

di Giovanni Drogo

Pubblicato il 2015-03-04

Ennesimo caso di cyberbullismo, la vittima è una ragazza di 16 anni il cui video hard ha iniziato a circolare su Facebook e Whatsapp e c’è poco da fare per fermarlo

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È successo di nuovo, una ragazzina di 16 anni è stata filmata durante un rapporto sessuale (con un ragazzo di 21 anni) nei bagni di una discoteca ed il video hard si è rapidamente diffuso su Internet. Prima su Facebook, tra gli amici che erano presenti e hanno assistito alla scena (oltre alla coppia c’erano anche altri due ragazzi e una ragazza, tutti maggiorenni) poi tramite Whatsapp tra i compagni di scuola della ragazza, fino a che un professore se ne è accorto e l’ha spinta a sporgere denuncia alla Polizia. Naturalmente ora il ragazzo protagonista del video rischia parecchio, così come quelli che hanno filmato la coppia e diffuso il video hard pedopornografico.

Il pezzo di cronaca su La Stampa di oggi (fonte: La Stampa)
Il pezzo di cronaca su La Stampa di oggi (fonte: La Stampa)

IL VIDEO HARD VIRALE
La Stampa di oggi riporta le parole di un’amica della vittima che racconta di come la ragazza non fosse a conoscenza del fatto che era stato girato un video e di averlo scoperto solo dopo che il video in cui è protagonista involontaria le è stato recapitato via Whatsapp. Come sempre in questi casi i genitori dei protagonisti fanno a gara a fare la più brutta figura possibile (pare che un genitore abbia detto “che colpa ne ha mi figlio se quella è una tr…“) mentre i ragazzi si difendono come possono nel modo consueto e con una sfilza di “non sapevo fosse un reato“, “l’ho condiviso sulla mia pagina Facebook come potevo pensare che…“. Insomma è il solito copione che si ripete dove si cerca di far passare la vittima per una poco di buono e il maschio per l’eroe di turno che ha fatto quello che tutti i ragazzi sognano di poter fare. A scanso di equivoci è bene ricordare che i reati sono diversi e anche piuttosto gravi, si va dalla diffusione di materiale pedopornografico per chi ha girato il video hard e l’ha condiviso con gli amici alla posizione ben più grave dal punto di vista penale del protagonista del video, immortalato mentre faceva sesso con una minorenne. Per non parlare di coloro che hanno creato una pagina Facebook (ora rimossa) dedicata ai bagni del locale dove i commenti sagaci e le battutine si sprecano.
video hard pagina facebook
Ora naturalmente la scuola, gli educatori e i genitori ricominceranno a interrogarsi su cosa ci sia di strano in questa generazione e nel suo rapporto con la sessualità. Come al solito si proporrà di vietare i telefonini, di monitorare Facebook (su Whatsapp invece non è possibile controllare o bloccare la diffusione del video hard) o chissà che altro. A nessuno verrà in mente di proporre di fare l’unica cosa davvero utile per prevenire fenomeni come questi (che ci saranno sempre, perché i ragazzini funziono così): l’istituzione di corsi di educazione alla sessualità. Perché poi arrivano le Sentinelle in Piedi a dire che si insegna “il Gender”, le famiglie si preoccupano che le loro ingenue figliuole imparino le arti del meretricio e del dimonio e la Chiesa e gli insegnanti di religione che diranno che il problema è la mancanza di valori nelle nuove generazioni. Non è l’Internet il responsabile di quello che è successo, e non lo sono i telefonini, lo è la mancanza di strumenti adeguati per comprendere la portata delle proprie azioni (certo un ventunenne dovrebbe averle…). Oltre a questo c’è anche la questione del cyberbullismo alla quale è sottoposta la ragazzina. Inutile strapparsi le vesti, molto meglio rimboccarsi le maniche e progettare interventi educativi adeguati ai tempi e alla tecnologia non per bloccare la curiosità degli adolescenti ma per far capire il potenziale dannoso di certi strumenti se usati nel modo sbagliato. I ragazzi vanno aiutati a gestire la loro assoluta voglia di vedere/mostrare/aggredire/esplodere, non si può sperare che lo imparino da soli né che la scuola per come è concepita attualmente sia in grado di farlo con le risorse interne (ovvero i professori).
Buongiorno un cazzo, caro Gramellini (fonte: La Stampa)
Buongiorno un cazzo, caro Gramellini (fonte: La Stampa)

SCENDI DALLA MACCHINA DEL FANGO
Poi ci sono i moralizzatori come Massimo Gramellini, che sempre sulla Stampa di oggi dà un ritratto non troppo lusinghiero della protagonista. “Basta leggere il suo profilo Ask.fm” scrive il nostro eroe del Buongiorno, “per rendersi conto siamo di fronte ad una normalità parallela“, ovvaimente fatta di trombamicizia, letti sfondati e YouPorn. Una realtà che un Gramellini in vena di usare luoghi comuni definisce “banale come il male”. Peccato però che andando a leggere la sua pagina su Ask.fm (altro epicentro del male per i genitori preoccupati) la ragazzina che, ricordiamo a Gramellini, è vittima di reati particolarmente odiosi e detestabili non sembra essere una grande fan delle trombamicizie (anzi dice chiaramente di preferire qualcosa di più serio) e non faccia menzione di letti sfondati (e a chi le chiede particolari della sua vita intima non risponde in alcun modo) . Per chi come noi, e come Gramellini, non la conosce, sembra una ragazza normale. E il modo di fare del giornalista della Stampa non sembra molto diverso da coloro che sulle pagine Facebook dicono che in fondo “se l’era cercata”. Un conto però quando lo fanno dei ragazzini che non comprendono appieno cosa stanno facendo e che danno stanno arrecando ad una loro coetanea, un altro è se un adulto, uno di quelli responsabili, con il pretesto di “comunicare” (non si sa bene cosa, lo sdegno, l’orrore, la voglia di pruderie) si mette al loro stesso livello, lanciando anche lui la sua pallottola di fango sulla vittima. Se Gramellini intendeva comunicare disprezzo e qualche informazione falsa ci è riuscito benissimo, e su un quotidiano nazionale, non sui temuti social o sul terribile (perché anonimo) Ask.fm. Se invece l’idea era quella di dire “prendiamoci cura di questa persona” proteggendola per tutto il tempo necessario dal fango che i media e i social network le lanceranno addosso per quello che ha fatto direi che ha clamorosamente mancato il bersaglio. Perché nonostante quello che Gramellini dice, i video sono una gogna anche per i ragazzi con cui vorrebbe “comunicare”. È il concetto base del cyberbullismo. Ma forse quel giorno al corso di giornalismo Gramellini era intento a moralizzare qualcun altro.

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