La democrazia pianificata della Regione Veneto

di Piero Cecchinato

Pubblicato il 2020-02-13

Tutto è pronto per il grande sabba elettorale della Lega in Veneto per le prossime elezioni regionali di maggio. La regione rimane infatti una roccaforte non espugnabile per gli avversarsi del governatore Luca Zaia. Magari ci sarà contesa fra le diverse anime interne alla Lega, ma si tratta di aspetto irrilevante, perché, considerate la posta …

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Tutto è pronto per il grande sabba elettorale della Lega in Veneto per le prossime elezioni regionali di maggio. La regione rimane infatti una roccaforte non espugnabile per gli avversarsi del governatore Luca Zaia. Magari ci sarà contesa fra le diverse anime interne alla Lega, ma si tratta di aspetto irrilevante, perché, considerate la posta in gioco e la corrente favorevole dei sondaggi, c’è da colpire uniti anche se si rimane intimamente divisi.

 

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In Veneto la Lega aveva già vinto almeno un anno e mezzo fa: alle elezioni politiche del marzo 2018 si era confermata primo partito della regione e la coalizione di centrodestra si era attestata fra il 46,7% (Camera, circoscrizione Veneto 1) e il 49,3% (Senato). Ad un soffio dal premio di maggioranza del 60%, introdotto per chi avesse superato la soglia del 50% dei voti validi con una legge del 2012 voluta sempre dalla attuale maggioranza (legge 16 gennaio 2012, n. 5). Anche con il 49% delle elezioni del 2018, però, la Lega avrebbe potuto ritenersi più che soddisfatta. Avrebbe infatti potuto accedere al secondo generoso premio del 57,5% dei seggi in palio (quindi 31 su 54), introdotto sempre nel 2012 per la coalizione che avesse ottenuto almeno il 40% dei voti validi o al terzo premio del 55% dei seggi (30) previsto per la coalizione vincitrice, a prescindere dalla soglia raggiunta. Invece bisogna stravincere e, pertanto, la maggioranza capitanata dalla Lega in consiglio regionale ha modificato la legge elettorale assestando il premio di maggioranza ad una soglia ben più bassa. Con la legge regionale n. 19 del 25 maggio 2018 si è stabilito che per ottenere il premio del 60% dei seggi (32) basti raggiungere la soglia del 40% dei voti validi (che in astratto darebbe diritto a 22 seggi). La modifica è stata votata dai rappresentanti dei gruppi consiliari Liga Veneta-Lega Nord, Zaia Presidente, Fratelli d’Italia, Movimento per la cultura rurale e Forza Italia. Hanno espresso voto contrario i rappresentanti dei gruppi consiliari Partito Democratico, Movimento 5 Stelle e la componente politica Liberi e Uguali del gruppo misto.

Uno studio dell’Osservatorio Elettorale regionale ha stimato, sulla base dei risultati delle elezioni politiche 2018 e di quelle europee 2019, la Lega come primo partito con 26 seggi, seguita dai 3 che andrebbero sia a Fratelli d’Italia che a Forza Italia. La minoranza vedrebbe il Pd con 10 seggi, il Movimento 5 Stelle con 4 e le altre formazioni a contendersi gli altri. Una distorsione maggioritaria che poco ha a che vedere con la governabilità, perché incrementare del 50% il numero di seggi a cui si avrebbe diritto raggiungendo la maggioranza relativa del 40% vale ben di più della governabilità. Assegnare artificialmente 10 seggi in più su 54 a chi avrebbe avuto diritto di prenderne 22 raggiungendo la soglia del 40% è qualcosa di più dell’assicurare stabilità all’azione di governo (per non dire che non è certo questo il problema in Veneto). Non possono non venire alla mente alcuni passaggi della sentenza con cui la Corte costituzionale decretò l’incostituzionalità del famigerato porcellum (sent. n. 1/2014). Se, disse la Corte, “la formazione di una adeguata maggioranza, allo scopo di garantire la stabilità del governo e di rendere più rapido il processo decisionale” costituisce “senz’altro un obiettivo costituzionalmente legittimo”, ciò va perseguito attraverso norme che pongano “il minor sacrificio possibile degli altri interessi e valori” costituzionali in gioco, su tutti quelli di una equa ed eguale rappresentanza della popolazione.

In questo contesto si inserisce anche l’eliminazione, voluta dalla stessa maggioranza con la modifica della legge elettorale del 2018, del limite dei due mandati per i consiglieri regionali, limite che era stato introdotto con la legge 27 gennaio 2015, n. 1. E si inserisce pure il nuovo regime di incompatibilità stabilito per i consiglieri chiamati a rivestire la carica di assessori. Di per sé una cosa dignitosa, perché un conto è governare (la giunta), un altro controllare e fare le leggi (il consiglio). Stando al nuovo regime adottato, la nomina in giunta libererà un posto per il primo dei non eletti nella stessa lista del consigliere diventato assessore. Una modifica denunciata dalla minoranza come duplicatrice di ruoli per i fedelissimi del Governatore Zaia. Per difendersi da simili accuse la maggioranza sostiene che si tratti del medesimo regime di incompatibilità adottato dagli avversari nella Regione Toscana. Non è proprio così. La legge elettorale della Regione Toscana stabilisce la decadenza dalla carica per il consigliere che venga designato assessore, con la conseguenza che se poi quell’assessore perderà la carica in giunta, tornerà a casa e non in consiglio. Per la legge veneta, invece, se il consigliere diventa assessore, il posto in consiglio viene solo momentaneamente “sospeso”, così che, se poi quell’assessore perderà la carica in giunta, tornerà in consiglio.
Una norma che mette al sicuro il seggio per il consigliere chiamato a ricoprire incarichi di governo e magari, al contempo, accontenta qualcun altro dei non eletti. Non è proprio la stessa cosa mettere al sicuro il seggio e decretarne la decadenza. Nel complesso, una democrazia un po’ pianificata, diciamo.

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