Opinioni
Il medico notturno e la donna morta di solitudine in mezzo ai topi e alle blatte
di Giovanni Palombo
Pubblicato il 2019-09-15
“Maresciallo, per favore, mi faccia luce per bene o non vedo niente!” “Dottore, io veramente…” “Lei lo ha sentito il magistrato, no? Vorrei evitare di doverci stare un’altra ora al telefono perchè il mio turno sarebbe terminato due ore fa e invece sto ancora in mezzo a questo delirio!” “Dottore, ma la sente la puzza? […]
“Maresciallo, per favore, mi faccia luce per bene o non vedo niente!”
“Dottore, io veramente…” “Lei lo ha sentito il magistrato, no? Vorrei evitare di doverci stare un’altra ora al telefono perchè il mio turno sarebbe terminato due ore fa e invece sto ancora in mezzo a questo delirio!” “Dottore, ma la sente la puzza? Fa venire il voltastomaco, io non so come lei riesca…”Marescia’, la sento, la sento…mica sono sordo!” Provo a stemperare l’ aria tesa con una mezza battuta, dettata più dalla disperata impotenza della situazione che non dalla voglia di sorridere. “Che dice, con i potenti mezzi dell’ Arma, riusciamo a rimediare un paio di forbici?” Il militare scuote la testa e borbotta che in una auto di pattuglia che se ne fanno di forbici? Il magistrato, in una interminabile telefonata intercorsa poco prima, alle mie rimostranze in cui tentavo di far presente che in quella situazione non si poteva fare nulla perchè non c’era luce e stavamo al buio quasi completo, aveva tuonato: “Dottore, si faccia portare dei gruppi elettrogeni e faccia quello che deve fare o la denuncio per omissione di atti d’ufficio!”
A chi avrei dovuto chiedere i gruppi elettrogeni non era per nulla chiaro, secondo il magistrato di turno mi sarebbe bastato schioccare le dita per vedere arrivare uomini e mezzi come nei telefilm americani. Il maresciallo, che aveva sentito le parole del giudice, si era sollevato il cappello grattandosi la fronte, aveva alzato gli occhi al cielo e accompagnato il tutto con una gestualità tipica dei meridionali che si sarebbe potuta tradurre in: “Ma che cazzo dice questo, i gruppi elettrogeni?” Alla fine le nostre potenti fonti di illuminazione si erano ridotte alla lampada di un cellulare, con cui il carabiniere stava cercando di filmare quello che stavamo facendo, e alla torcia di emergenza della mia auto, che tenevo tra i denti per poter avere avere le mani libere. Allora, ste forbici?”
Il sottufficiale, sempre concentrato sulla sua opera di ripresa video e di illuminazione, con tono perentorio, caccia un urlaccio e richiama l’attenzione del suo collega che era rimasto fuori e gli ordina di rimediare un paio di forbici. Eravamo al pian terreno di un caseggiato popolare in un quartiere centrale di Roma, con un centinaio di appartamenti che affacciavano sul cortile dove erano ferme le nostre automobili e non sarebbe stato difficile chiedere a una signora Maria qualsiasi se ti tirava giu’ un paio di stramaledette forbici. Ma niente, il carabiniere dall’ esterno strillò che non le aveva e stop. Poi ti lamenti delle barzellette… “Maresciallo, cerchiamole qui dentro, magari in qualche cassetto, senza fare troppi casini , si metta un paio di guanti, li ho nella mia borsa.” Alla fine il buon uomo le trova nella dispensa , sepolte tra scatolette di cibo aperte e puzzolenti e alimenti incartati con carta di giornale. “Dotto’, eccole e mi raccomando non si appoggi a niente che qui dentro è pieno di pulci!”
Me ne ero accorto da solo che in quella casa c’era uno zoo di insetti, blatte e ogni altro ben di Dio, al punto che evitavo persino di accostarmi alle pareti. Prendo le forbici e continuo a fare il mio lavoro , anzi , obbedisco agli ordini impartiti dal magistrato dall’ altro capo del telefono, senza rendersi minimamente conto che quello che chiedeva era praticamente impossibile da fare in quelle condizioni. Troppi telefilm, troppe serie tv , troppe realtà parallele ed, evidentemente, il togato viveva in una di queste, distante anni luce dalla concretezza della situazione. “Dottore, si vede che lei è pratico, è abituato. E’ stato un militare anche lei?” Annuisco. Il maresciallo, con la sua aria impacciata e bonacciona, simile al sergente Garcia di Zorro, mi aveva fatto le lastre. “Soldato dove?” “Alla Scuola di Guerra a Civitavecchia, bei tempi di gioventù!” “Ha fatto qualche missione all’ estero? Io sono stato sei mesi in Afghanistan”. Te vojo bene marescià, ma stamo in mezzo a sta puzza infernale a fa ‘na cosa co’ ‘na scarpa e ‘na ciavatta e tu me parli dell’ Afghanistan? “Missione Pellicano, in Albania. Sono stato in Albania nel ’92”.
“In Albania, e che ci siete stato a fare in Albania?” “Mi ci hanno mandato ad ammazzare le zoccole”. “Le zoccole?” “Eh, sì!” Ci tirarono giù dalle brande a notte fonda, come nei film americani, dove i Marines non iniziano nulla se non alle quattro di notte, e ci caricarono su due elicotteri provenienti da Viterbo. Due squadre di militari esperti di guerra NBC (che starebbe per nucleare, batteriologica, chimica). Non sapevamo nulla, né dove stavamo andando né il perchè. Ci agitava il pensiero che avessero caricato solo noi e non tutto il nostro reparto. Ci avevano scelto con minuzia e la modalità operativa era davvero insolita per le nostre abitudini. I piloti dell’ elicottero non fornivano nessuna informazione, come se la missione fosse top secret , o, piu’ semplicemente, si divertivano a coglionare un manipolo di ragazzi dall’ aria impaurita. Nella pancia dell’ elicottero le giovani menti iniziarono a partorire le più fantasiose ipotesi ma , alla fine, fummo tutti convinti che eravamo in volo per invadere San Marino. Sì, sì, in dodici ce la possiamo fare! Ad un tratto, il buio della notte fu squarciato dalla luce del sole nascente all’ orizzonte e d’ improvviso la terra che avevamo sotto di noi, lascio’ spazio al mare.
Il pilota, finalmente, ci indicò la costa all’ orizzonte e disse: “Albania!” Cazzo, invadere l’Albania in dodici è sicuramente più impegnativo e poi non siamo neanche armati. Boh? Ci scaricarono in mezzo ad una specie di campo profughi in cui erano ammassati soldati , personale di soccorso, povera gente ed una distesa di container con aiuti alimentari e vestiti. Era la testa di ponte degli aiuti occidentali alla popolazione albanese che aveva rovesciato il regime e in quei giorni il paese era nel caos totale. Il nostro problema erano, per l’appunto, le zoccole: grossi ratti che imperversavano nel campo e avevano già assalito più di qualche soldato, al punto che i nostri commilitoni avevano preso l’abitudine di andare al cesso con l’ arma carica. Facemmo una strage. In una settimana, a forza di disperdere miscele tossiche, dei topi non ci fu più traccia e io e miei compagni ci potemmo dedicare alle zoccole vere, quelle nei bordelli che erano cresciuti attorno al campo , in cui bellissime ragazze slave si offrivano per due spicci. Bei tempi, marescià, bei tempi! “Maresciallo, faccia bene luce perchè ora taglio e poi la giro!”
Il militare fa cenno di essere pronto ed io, dopo aver tagliato gli abiti della donna, morta da giorni in quella casa abbandonata al centro di un popoloso quartiere romano, la svesto per ispezionarne il corpo, come comandato dal magistrato. Non è cosa semplice svestire un cadavere irrigidito dalla morte e non è semplice ravvisare segni di reato su un corpo sudicio , immerso nei propri liquidi fisiologici , abitato da insetti di ogni sorta e, per di più, farlo al buio quasi completo. Afferro la poverina per una spalla e la volto per osservarne il viso che, per buona metà, è stato divorato dai topi. “Dottore, mi sto sentendo male, mi gira la testa, non ci vedo più!” Il carabiniere ondeggia, oscilla, fa qualche passo indietro, si appoggia con la schiena alla parete e crolla a terra svenuto. Ecco, mi mancava pure questa. Mollo il cadavere e soccorro il militare, lo afferro sotto le braccia e cerco di trascinarlo fuori ma è pesante e temo di fargli male. Chiamo il brigadiere che è rimasto fuori e, insieme, tiriamo via il malcapitato. Dalle finestre delle case circostanti si sono affacciate molte persone che, alla vista del maresciallo sdraiato per terra in mezzo al cortile, si allarmano non sapendo quale mistero si stesse compiendo in quella casa.
Chiedo dell’ acqua ad una signora del palazzo di fronte e dopo pochi attimi arriva di tutto: dall’ acqua al cognac, dalla coperta a due fette di torta. Il buon cuore della gente è un bene prezioso, una dote che va coltivata e stimolata cercando di abbattere quel microcosmo di egoismo in cui ognuno di noi tende a rinchiudersi e ad isolarsi. L’abbraccio di quella gente al militare stride fortissimamente con l’ abbandono in cui quella poverina è morta dentro casa, lasciata sola in preda alla sua disperazione e alle sue difficoltà. Il maresciallo è l’eroe della serata, si gode le coccole che dimostrano, ancora una volta, il senso di gratitudine che la popolazione ha nei confronti delle forze dell’ ordine. Torno dentro a finire il mio lavoro e comunico al magistrato i fatti rinvenuti. Raccolgo le mie cose e accendo il sigaro, prima di essere nuovamente ingoiato da una notte fredda e anonima.
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