Gucci, il Partenone e Keynes

di Faber Fabbris

Pubblicato il 2017-02-17

Per capire il motivo per cui Atene ha detto no alla sfilata (e ai milioni di euro) di Gucci al Partenone bisogna guardare la storia dell’Acropoli che ancora oggi ci impartisce una lezione di economia politica molto attuale

article-post

Un grande filosofo greco, Cornelio Castoriadis, lanciò nel 1949, a Parigi, la rivista “Socialismo o barbarie”, riprendendo una celebre formula di Rosa Luxemburg. E constatando i disastri compiuti dal liberismo negli ultimi trent’anni, è difficile contestare la sintesi amara di quel dilemma. Nel mondo dell’abbondanza inusitata delle merci, il capitale cerca di sopravvivere creando sempre nuovi mercati, pervadendo di sé ogni attività umana, riempiendone ogni minuto. Tutto sembra possa assecondarsi alla sua logica, alla sua pretesa razionalità. E invece no.
gucci partenone sfilata atene grecia

Perché Atene ha detto OXI alla sfilata di Gucci al Partenone

Il Consiglio Archeologico Centrale – organismo del ministero della cultura greco – ha rifiutato il 15 febbraio la proposta della Gucci di organizzare una sfilata di moda sull’Acropoli. La casa di alta (?) moda avrebbe proposto all’istituto ministeriale di organizzare una sfilata tra Partenone ed Eretteo, per una platea di ristretti spettatori (pare trecento). Solo quindici minuti. Sono filtrate anche voci disparate sul ‘compenso’ proposto dalla ditta: cifre comprese fra 2 e 56 milioni di euro (con o senza diritti televisivi), che sarebbero stati utilizzati per contribuire ai lavori di restauro e conservazione dei monumenti. C’è da dire che il programma di restauro dell’Acropoli, lungo e complesso, non ha mai subito tagli da parte dello Stato greco, neppure nei momenti più bui ed acuti della crisi, sotto qualsiasi governo. La segretaria generale del Consiglio Archeologico, Maria Andreadakis-Vlazakis, ha trasmesso alla stampa un comunicato per ribadire che “il particolare carattere culturale dei monumenti dell’Acropoli è incompatibile con una manifestazione del genere; si tratta di monumenti unici, simboli del patrimonio mondiale dell’umanità, protetti dall’UNESCO”. La proposta è stata respinta all’unanimità. Il ministro della cultura del governo Tsipras, Lidia Koniordou, si è dichiarata “pienamente in accordo” con la decisione, aggiungendo: “il Partenone non è un monumento qualsiasi. Possiamo considerarlo il simbolo della cultura occidentale, il simbolo della democrazia, del dialogo, della libertà dello spirito. Noi greci siamo i depositari di questo simbolo”.

gucci partenone sfilata atene grecia - 1
Il ministro greco della cultura, Lidia Koniordou

Ed è proprio in forza del valore simbolico che le opere d’arte si trovano al centro della “comunicazione”, troppo spesso loro malgrado. In questo senso, il Partenone e i monumenti dell’acropoli ne hanno conosciute, letteralmente, di tutti i colori. Trasformato in chiesa nel medioevo, poi in moschea, bombardato dai veneziani e spogliato da Lord Elgin delle sue sculture, il tempio di Atena è arrivato quasi per miracolo fino a noi.
gucci partenone sfilata atene grecia
Nazisti in posa presso l’Eretteo, 1941.

E su di esso si è più di recente avventata una grottesca fame di prestigio, che ha portato a goffi tentativi di ‘nobilitarsi’ tramite la sua immagine. Eccone alcuni esempi.
gucci partenone sfilata atene grecia
Usi commerciali del Partenone : Coca-Cola (1992); IG Index – Società di consulenza finanziaria (2010); Stella Artois (1995).

Quello di Gucci è solo il più recente, ma andato questa volta a vuoto. Il sarto per ricchi ci aveva provato un anno fa, ‘vestendo’ (via fotomontaggio) calchi delle sculture di Fidia con i capi della sua collezione. Il lettore giudicherà la sensibilità estetica del creatore di moda. Già allora, la campagna aveva suscitato ampie proteste. Oggi, l’eco mediatica si rinnova, amplificata dalla tensione sul negoziato tra Grecia e creditori.
gucci partenone sfilata atene grecia - 4
Calchi delle statue di Cecrope e Pandroso (dal frontone occidentale del Partenone) in una campagna di comunicazione di Gucci (2015).

Il rifiuto della Grecia sancisce un principio particolarmente prezioso. Esiste un ambito nel quale la prospettiva commerciale non deve intervenire, un territorio che deve essere difeso dalla logica speculativa; esiste un campo nel quale l’interesse privato non può prevalere rispetto a quello pubblico. La Grecia dà una lezione di dignità che dovrebbe essere meditata da più di una nazione. Atene dimostra che il povero, di fatto in posizione di debolezza rispetto al ricco, può rifiutarne il ricatto. Un rifiuto sul piano simbolico, si dirà. Ma si è appena visto quanto il simbolo possa contare. Ma ecco che uomini politici di altro spessore, più devoti ed obbedienti, già si affrettano a proporre i loro servigi (pare che il sindaco di Agrigento abbia lanciato l’idea di sostituire l’Attica con la Sicilia). E dove questa scivolosa pendenza possa portare, lo si è già tragicamente visto.
Busto di Pericle, custodito nell’Altes Museum di Berlino. [foto di Gunnar Bach Pedersen (2007) via Wikipedia.org]

La lezione di economia politica di Atene

Il Partenone ci dà anche un’altra lezione. Di economia politica. Capendo che la ricchezza non consiste nel risparmio, nell’accumulo di metalli preziosi, ma nel lavoro, Pericle fece trasferire da Delo ad Atene il ‘tesoro’ della lega delio-attica (manufatti preziosi, offerte votive in bronzo, oro e così via). E quelle ricchezze trasformò in opere pubbliche: monumenti, templi, edifici. Tra i quali il Partenone. Racconta Plutarco:

Pericle progettò e mise in cantiere  costruzioni e opere d’arte che comportavano un notevole impiego di tempo, presentandole al popolo, affinché […] avesse un motivo per partecipare e trarre vantaggi dalle ricchezze pubbliche. Poiché infatti il materiale era pietra, bronzo, avorio, oro, ebano, cipresso, e gli artigiani che lo lavoravano e lo trattavano erano carpentieri, scultori, fabbri, scalpellini, doratori, artigiani dell’avorio, pittori, arazzieri, incisori, importatori e trasportatori di queste merci e commercianti, per mare marinai e piloti, per terra carradori, allevatori di bestiame, conducenti, cordai, tessitori, cuoiai, stradini, minatori, e poiché ciascuna arte teneva, come un generale il proprio esercito, la massa di mercenari e lavoratori propri messi insieme […] le necessità dividevano e distribuivano l’agiatezza, per così dire, tra tutte le età e le categorie.

Insomma, un keynesianismo ante-litteram. Come si vede, questione di piena attualità. Conclude lo scrittore di Cheronea:

Ancor di più stupiscono, dunque, le opere di Pericle, concepite in breve tempo ma per durare a lungo. In quanto a bellezza, ciascuna di esse fu da subito antica; per la freschezza appaiono ancor oggi recenti, come appena finite. Da esse emana, permanente, una forma di giovinezza, che ne mantiene intatto l’aspetto, malgrado il passaggio del tempo. È come se le opere avessero uno spirito sempre fiorente, combinato ad un’anima che non invecchia.

Chi blatera di ‘rendere vivi’ quei luoghi tramite ‘eventi’ più o meno mediatici, farebbe bene a rileggere queste parole.

Potrebbe interessarti anche