Giuseppe Conte e quel burattino di Di Maio

di neXtQuotidiano

Pubblicato il 2018-12-02

Il premier, sostiene il Fatto, decide al posto dei gialloverdi sulle nomine nei ministeri e vuole mettere bocca anche nella Consob

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Giorgio Meletti sul Fatto oggi va all’attacco di Giuseppe Conte che, secondo il racconto del giornalista del quotidiano di Travaglio, non è per niente un burattino come lo dipinge certa stanza, ma è invece un bravo tessitore di trame, specialmente per quanto riguarda le nomine. Meletti ricorda come  un sistema di potere collegato con il piduista Luigi Bisignani voleva Fabrizio Palermo al vertice della Cassa Depositi e Prestiti. E Conte ha puntualmente eseguito l’ordine impartito – attraverso Casaleggio e il suo ambasciatore per gli affari romani Stefano Buffagni –da Claudio Costamagna, intimo di Bisignani e (paradossalmente) cacciato da Cdp dal governo del cambiamento. Questo perché Conte gioca la partita in una squadra diversa da quella dei gialloverdi:

IL TELECOMANDO DI CONTE non ce l’ha Di Maio ma Guido Alpa, il grande civilista suo maestro, a sua volta al centro di una ragnatela di cui fanno parte altri avvocati, tra i quali spiccano Sabino Cassese e Andrea Zoppini, e una falange di alti burocrati, consiglieri di Stato e capi di gabinetto. Conte è talmente abile nell’interpretare il ruolo del Giano bifronte che il suo stesso portavoce Rocco Casalino, quando si produsse nell’intemerata contro i “pezzi di merda”del ministero dell’Economia (con riferimento mirato al capo di gabinetto Roberto Garofoli), forse non aveva capito che stava insultando i danti causa del suo capo.

Lo stesso Cassese, che quasi ogni giorno tuona in tv e su tutti i giornali contro il governo, lo ha ammesso: “Lo Stato deve assicurare la continuità. L’attuale governo ha assicurato meglio del precedente la continuità nei gabinetti ministeriali, riportando nei gabinetti i consiglieri di Stato”. Quando Conte obbedisce, Cassese va in tv e lo elogia (“Sei meglio di Gentiloni ”). Anche quando ha sfoderato un’acrobazia giuridica per blindare la nomina alla presidenza del Consiglio di Stato di Filippo Patroni Griffi, Conte ha usato il giuridicamente svantaggiato Casalino per fargli dire due falsità in una sola frase, cioè che Conte restaurava la prassi costituzionale.

marcello minenna consob carla ruocco - 7

Poi Meletti parla della nomina in Consob e dello strano atteggiamento di Conte sulla questione Minenna, e quello che scrive ci permette di comprendere anche chi sia così nervoso per l’attivismo nelle nomine del presidente del Consiglio:

Conte non ha restaurato niente, per due ragioni: anche Patroni Griffi, come il suo predecessore, è stato scelto in spregio a una prassi violata, in un secolo è mezzo, solo da Benito Mussolini e da Matteo Renzi; e dello scempio giuridico del 2015, che Conte dice di aver riparato, egli fu uno dei protagonisti, in un’epoca aurea in cui qualsiasi uomo di sia pur minime ambizioni non poteva non dirsi renziano.

Adesso c’è l’appuntamento con la presidenza della Consob. Salvini e Di Maio hanno un accordo sulla nomina di Marcello Minenna. Ma idanti causa di Conte,che non hanno digerito le dimissioni dell’amato e fidato Mario Nava, ancor meno digeriscono Minenna, giudicato poco incline al dialogo con i boss del capitalismo di relazione e i loro avvocati. L’obiettivo è nominare Mirella Pellegrini, docente di Diritto alla Luiss della scuderia Alpa.

Per spianare la strada a lei o al vero candidato celato dietro il suo debole curriculum, Conte ha fatto sua, anche in riunioni private coi ministri, la fake news già diffusa a mezzo stampa amica: su Minenna ci sarebbe un vetodelQuirinale. Anche stavolta il professore la figura del burattino la vuol far fare a Di Maio.

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